Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera aperta alla comunità universitaria con la quale alcuni docenti rispondono alle accuse – lanciate in particolare dal rappresentante degli studenti Paolo Pavia – in calce a un comunicato stampa dei partiti di centro-sinistra catanesi pubblicato sul nostro forum.
Un conflitto da noi non voluto
La discussione che si sta svolgendo in relazione al documento di alcuni partiti politici sulla situazione dell’università di Catania – e di cui si è estratta solo una parte, connessa alla storia della facoltà di Lingue, evitando sin qui il tutto – va sottratta a interessi di parte e argomenti di comodo. E non è facile. In questi mesi, infatti, si è creata tra Catania e Ragusa una situazione che pare di guerra. Una situazione che fa male a tutti e soprattutto agli studenti, tanto di Catania quanto di Ragusa, e che ha avuto il suo suggello nella lettera spedita dal presidente del consorzio universitario ragusano in data 27 maggio 2011, nella quale si chiede al rettore Recca di chiudere quanto prima – solo questo significa e può significare il verbo “limitare” che troviamo nella lettera – alcuni dei corsi di lingue che si tengono a Catania. Una lettera scorretta, grave, imperdonabile, irricevibile (rispetto alla quale chiedere semplicemente, come qualcuno ha fatto, di “non fare polemica” è troppo poco) e che deve spingerci però a volare, tutti, più in alto, provando a ricostruire con mente serena le vicende degli ultimi anni, evitando interessi personali o di gruppo.
Lingue e la protesta contro la legge Gelmini
Iniziamo dicendo che molti di noi hanno chiesto scusa agli studenti, quest’anno, appena sono entrati in aula. L’abbiamo fatto perché gli studenti sono la ragione del nostro lavoro, perché rispettiamo gli sforzi loro e delle loro famiglie e perché sono loro il cuore dell’università, in ogni senso. Ma non l’abbiamo fatto da soli; con noi lo hanno fatto almeno, a quanto ci consta, qualche centinaio di colleghi ricercatori dell’ateneo i quali avevano aderito alla protesta, molti tra loro raccontandola, andando nelle aule, spiegandone le ragioni in decine di assemblee e lezioni aperte; dicendo che non potevano fare a meno, in coscienza, di protestare per una università pubblica aperta a tutti, dove le tasse non aumentino ogni anno del 20% mentre i servizi si dimezzano, in cui i meritevoli e non abbienti siano tutelati e insieme le loro famiglie, in cui il diritto allo studio arrivi a standard europei (in Italia abbiamo il 3% delle borse universitarie americane, il 5% dei posti letto-studente della Svezia, un finanziamento dell’università che è quasi la metà di quello tedesco, i docenti più vecchi, il minor numero di laureati, il maggior numero di abbandoni d’Europa…). Abbiamo chiesto scusa per i disagi, ci siamo detti orgogliosi, nonostante tutto, di una protesta difficile ma necessaria (per loro, per i nostri figli) e abbiamo ricominciato a insegnare, anche quest’anno, pur non essendo (alcuni tra noi, i ricercatori) stati assunti per farlo, pur non essendo pagati per farlo, come la stessa Gelmini ha recentemente ribadito. I ricercatori sono tornati a insegnare perché si sarebbe di fatto interrotto un pubblico servizio e ciò è stato evitato.
Ci si chiede: perché solo la facoltà di Lingue ha avuto questi problemi? La risposta è stata già data: la ribadiamo più chiaramente, in modo che non si possa fare a meno di sentirla. Nei corsi di laurea in lingue ci sono, oggi, 25 ricercatori, 14 associati e 12 ordinari! L’anno prossimo, a causa di alcuni pensionamenti, i ricercatori supereranno la somma di associati e ordinari. Questo rapporto è unico nel nostro ateneo! Come era unica l’adesione quasi totale dei ricercatori alla protesta sotto forma di indisponibilità all’insegnamento; un’adesione che si è mantenuta con assoluta coerenza fino all’ultimo, caso anch’esso unico, se non solitario, non solo nel nostro ateneo ma in tutta Italia. Questa coerenza – rara, è vero, alle nostre latitudini – è stata notata da molti, se non da tutti; e certo qualcuno non la ha gradita. Ma tant’è, mica si può piacere a tutti, e per le proprie idee a volte ci si procurano dei nemici, si sa, è nel conto. Ma il dato è inoppugnabile; basta verificare i carichi didattici (molto pesanti) dei ricercatori nella nostra facoltà. Anche un interlocutore prevenuto – se vuole – può capirlo.
Allora, chiediamoci: perché solo a Lingue si è creata questa situazione? Perché solo a Lingue dal momento che l’amministrazione dell’Ateneo era a conoscenza dell’indisponibilità dei ricercatori delle varie facoltà dalla primavera-estate del 2010? (in quella data, tra maggio e luglio 2010, fu notificata l’indisponibilità, a livello d’ateneo, dei ricercatori causa il prosieguo dell’iter della legge, anche attraverso una raccolta di firme portata in rettorato, delle comunicazioni date alla stampa, etc… Tutto documentato e conservato.)
Cosa è successo nelle altre facoltà in cui i ricercatori erano rimasti, fino all’ultimo, indisponibili, sia pur in percentuale ampiamente minore a quella della nostra facoltà? Sono successe due cose. In alcuni casi dei colleghi hanno preso gli insegnamenti degli indisponibili (da noi non è successo, ognuno può valutare liberamente se questo sia segno di una qualità umana, etica e professionale che è tutta a disposizione dei nostri studenti, o meno, o altro); in altri casi si sono banditi dei contratti sostitutivi esterni. Neanche questa seconda eventualità si è verificata a Lingue. Perché Lingue non aveva soldi. La facoltà di Lingue, infatti, aveva contratto un mutuo nei confronti dell’ateneo per potere far fronte alle onerose spese della sua gestione, solo parzialmente coperte dalle anticipazioni di spesa erogate negli anni dall’ateneo stesso.
La situazione finanziaria della facoltà: storia e riflessioni
Ci spieghiamo meglio: nel dicembre del 2008 il rettore Recca – insieme al prof. Pignataro ed al dr. Portoghese – è venuto in facoltà e ha fatto presente che mancavano circa 3,5 milioni di euro (all’esercizio finanziario 2007, come si può verificare dalla delibera del CDA dell’agosto 2007) per coprire i nostri bilanci dal 1999 sino ad allora. Le ragioni erano molte (basta rileggere gli interventi del consiglio di facoltà del dicembre 2008, verbale n. 2, anno 2008-2009, disponibile online sul sito di facoltà) e chi le semplifica rischia di fare un cattivo servizio alla verità dei fatti: la mancanza di un finanziamento ministeriale, in dotazione a tutte le altre facoltà (solo Lingue, facoltà con uno dei più alti numeri di iscritti in Italia nel suo settore, ha vissuto per quasi nove anni con una parte dei soli soldi delle tasse degli studenti); i pagamenti dei lettori a tempo determinato e indeterminato; il numero elevato di insegnamenti da attivare per una facoltà con una offerta didattica onerosa; i mancati pagamenti del consorzio ragusano, entrato in crisi come molti altri consorzi anche per i consistenti tagli di spesa agli enti locali e in quegli ultimi anni spesso inadempiente (consorzio che, vale la pena ricordarlo, ha solo dopo un anno pagato il 50% di quanto ancora spettante, attraverso un accordo transattivo con l’ateneo che noi non avremmo mai siglato; e non lo avremmo siglato perché noi docenti di lingue, nella stragrande maggioranza, sappiamo di avere dato lì il massimo, con lezioni e ricevimenti, e di essere a posto, noi, con i registri, le ore di insegnamento, gli impegni presi. Tutti elementi ben più importanti della questione, eccessivamente rimarcata, della “sede della facoltà”).
Il rettore ci ha proposto, in quella data, con molta chiarezza e cordialità, un piano di recupero delle anticipazioni riconosciute dall’ateneo sin dalla nascita della facoltà, piano già elaborato e approvato dal Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo a partire dall’agosto del 2007: un mutuo ventennale che spostasse 180.000 l’anno, cifra corrispondente alla quota di finanziamento ministeriale – e bassissima se paragonata al numero di iscritti della facoltà come in confronto alle altre facoltà dell’ateneo, ma comunque finalmente accordata dall’anno successivo – nelle casse dell’ateneo. Questa è la scelta fatta dall’ateneo. Ci sono stati molti contrasti; chi vuole può guardare i verbali delle sedute dei consigli di facoltà successivi e vedere chi prese la parola, allora, anche duramente, e confrontarlo con chi oggi solleva l’argomento. Fatto sta che fu scelto di ipotecare il nostro futuro (perché anche di questo si trattava: carriere, avanzamenti, nuovi posti…) e continuare a lavorare, fare ricerca e insegnare ai nostri studenti.
Facciamo presente che lo stesso rettore in un’intervista a “La Sicilia” del 16 maggio del 2010 (p. 47), rilasciata nel pieno della protesta degli studenti catanesi per la minacciata chiusura dei corsi di lingue, certificò che il debito non era frutto di mala gestione ma di carichi finanziari e gestionali (appena elencati) che la facoltà non poteva reggere. Citiamo per esteso: “Lingue, essendo una facoltà “giovane” e molto impegnata sul piano finanziario, costa molto ed è stata sovradimensionata negli anni, sia a Catania che a Ragusa, con sforamenti significativi di bilancio in entrambe le sedi. Sforamenti che continuano e non perché chi gestisce non lo fa bene. Ma perché le attività che sono state programmate superano le capacità di spesa”. Questa è l’opinione del rettore e ne prendiamo atto. Non è forse un caso, tra l’altro, che prima il rettore Latteri abbia deciso di far coprire all’ateneo le spese dei lettori a tempo indeterminato, che erano state in buona parte a carico della facoltà, e poi il rettore Recca abbia riconosciuto una quota di FFO, benché bassa, in misura retroattiva, nonché un contributo per il pagamento dei lettori a tempo determinato. Per esemplificare la situazione straordinaria di lingue basti dire che almeno fino alla gestione Latteri le anticipazioni date dall’Ateneo coprivano appena il 70% circa delle spese per i soli lettori! Questi interventi non avrebbero comunque potuto coprire le spese di una facoltà “esplosa” in pochi anni, la quale era giunta in poche stagioni accademiche a ben oltre cinquemila iscritti – caso unico in Italia, non a Catania – senza una dotazione di strutture e un organico minimamente adeguati.
I “numeri” della facoltà.
Anche su questo – dal momento che spesso se ne parla senza alcuna cognizione di causa – sono utili alcuni dati: la facoltà ha iniziato la sua vita con appena trenta docenti inquadrati; mentre le unità organico (i docenti assunti a tempo indeterminato) progredivano di 2,5 unità in media l’anno, ogni anno gli iscritti lievitavano esponenzialmente; nei soli corsi di comunicazione, durante i primi anni, si registravano oltre mille immatricolazioni l’anno! Una crescita vertiginosa e repentina, senza le strutture di base che la supportassero e senza un riequilibrio veloce del rapporto docenti/studenti. Chi nella nostra facoltà insegna o ha insegnato materie di base (linguistiche e non) si è trovato sulle spalle carichi didattici del tutto unici nell’intero ateneo. Lezioni affollatissime, centinaia di esami (che sosteniamo ancor oggi, senza riconoscimento alcuno), decine e decine di tesi (aumentate dal taglio radicale dei contrattisti e degli insegnamenti). Questi carichi, pesantissimi, sono stati affrontati con passione e sacrificio, ma anche con successo, a Catania come a Ragusa. E questo stato di cose è stato ripetutamente fatto presente – con richieste, comunicati, appelli – ai Presidenti del Consorzio così come ai Rettori che si sono succeduti in questi dieci anni. Alle tasse dei moltissimi studenti sarebbe dovuta corrispondere una strategia che potenziasse i settori in ascesa, tenendo conto dell’importanza strategica della conoscenza delle lingue straniere europee ed orientali nel bacino del mediterraneo. Oggi, certo, con l’inserimento dei numeri chiusi e programmati (da noi certo non auspicati) il quadro si modifica e consente ampiamente la tenuta e il tendenziale potenziamento di un’offerta formativa strategica quale quella in lingue e letterature straniere.
Va inoltre segnalato che era già in passato accaduto che problemi di bilancio si fossero registrati in altre strutture dell’ateneo (anche questo è documentato) e che l’ateneo tutto fosse intervenuto. Si pensi inoltre e da ultimo, in relazione a vicende in parte consimili, al lodo recentemente perduto dalla nostra università con la Unikore di Enna (anche per inadempienze di alcune strutture dell’ateneo stesso, purtroppo certificate in più gradi di giudizio). Cosa accadrà e cosa sta accadendo, ad esempio, in questo caso? Accade che l’ateneo sta chiedendo a tutta l’Università – attraverso l’unificazione anticipata della spesa – di far fronte agli almeno 22 milioni di euro che mancano al bilancio, a causa del contenzioso disgraziatamente perduto. Potremmo aggiungere che lo sforamento della facoltà di Lingue si è verificato per erogare un servizio, e non per non averlo appropriatamente erogato…
Contemporaneamente, piuttosto, nel periodo a cui ci riferiamo, il rettore Recca deponeva (scusate il verbo) il pro-rettore Pioletti, trovando un nuovo equilibrio politico interno all’ateneo e poi spostando il suo asse politico fino a divenire, nel 2010, coordinatore regionale responsabile dell’UDC, anche se si era candidato promettendo di tenere lontana la politica e i politici dall’ateneo. Tutto legittimo, tutto vero.
Si è dunque creata una situazione paradossale. La protesta dei ricercatori ha investito molte facoltà (i numeri sono noti, non solo a Catania) ma solo a Lingue ci sono stati disservizi. Perché l’ateneo non ha provveduto a venire incontro alle esigenze degli studenti, essendo noto che molti di noi erano indisponibili (bastava aprire il giornale, che dava giornalmente le statistiche e i numeri, anche a Catania)? Perché le tasse pagate da uno studente ad Agraria o – che so – a Scienze sono valse di più di quelle pagate da uno studente di Lingue? Noi il nostro debito lo stavamo pagando, già con una prima annualità del mutuo e attrezzandoci a continuare ad ottemperare a quanto deliberato. Ed esercitavamo il nostro diritto costituzionale di protestare per il futuro dell’università e della società italiana. Non siamo proprio certi che la responsabilità dei disagi sia tutta ascrivibile alla facoltà. E ci pare paradossale che questa tesi venga invece sostenuta da coloro i quali ritengono incomprensibile il ricorso della facoltà contro l’ateneo, in quanto la facoltà non avrebbe “titolo giuridico” per fare lo stesso ricorso! Il paradosso, se non giuridico, è dialettico e anche bello grosso.
Si è creato, dunque, uno squilibrio tra gli studenti dell’ateneo nell’erogazione di servizi, questo è certo. Ma questo squilibrio non è solo legato alla vicenda – complessa e seria – delle lezioni. Questo squilibrio permane e rischia di permanere.
Garantire un servizio qualificato: l’offerta formativa nelle lingue e/è il futuro
Ci spieghiamo ancora. Noi lavoriamo e insegniamo da anni nella facoltà di lingue. Da circa due anni abbiamo un personale tecnico prima ridotto nell’orario (sedici precari a 8-10 ore a settimana) e poi “tagliato”. Oggi la Facoltà, a Catania, ha 4 unità a tempo indeterminato e altrettante a mezzo tempo e precarie. Otto amministrativi (di cui la metà a mezzo tempo) per circa 6000 studenti! Meno di un quarto, un quinto della media del resto dell’ateneo. Cosa significa questo? Significa laboratori linguistici aperti a singhiozzo, uffici stage chiusi, uffici Erasmus chiusi, mancata assistenza alla didattica, servizi informatici chiusi, prenotazioni di esami in tilt, dialogo interrotto con gli studenti… Noi, e così molti altri colleghi, passiamo le nostre giornate provando ad aiutare gli studenti tra richieste di stage, difficoltà con i piani di studio, problemi di registrazione esami, rispondendo a decine di mail al giorno sui problemi più vari (quanto stiamo sottraendo a quel lavoro di ricerca per cui siamo pagati e che farebbe crescere le nostre figure professionali e insieme gli studenti, l’ateneo, il nostro territorio?). Un inferno lavorativo e la fine di quello che dovrebbe essere il lavoro di un docente. E tutto questo nonostante il lavoro eroico dei pochi amministrativi e di tanti docenti contrattisti (anch’essi decimati) che insegnano per 2000 euro all’anno! Denunciamo da mesi e mesi, anzi da anni, questo stato di cose che rischia di far avverare i desideri – poco nobili, soprattutto nei confronti degli studenti e delle loro famiglie – di chi vuole “limitare” i nostri corsi.
Dunque non si può sottovalutare il clima di “guerriglia tecnica” che ha determinato questa situazione (e che la facoltà ha in parte raccontato con la lettera del 24 febbraio di quest’anno) perché molte condizioni che paiono avvicinarsi alla interruzione di pubblico servizio non sono dovute alla facoltà. Questo è facilmente dimostrato e dimostrabile, nonché noto a tutti.
Perché Lingue dunque ricorre al TAR, come legittimamente garantito dall’art. 24 della Costituzione, senza che ciò possa lontanamente configurare un atto lesivo dell’immagine di chicchessia? Per le ragioni tecniche che sono note – il rispetto delle delibere dell’università, l’interpretazione della legge Gelmini – ma anche perché ci siamo convinti che si vuole ridurre la nostra funzione. Siamo certi che qualcuno ha interesse a contrarre l’offerta universitaria linguistica in una delle aree metropolitane d’Italia – Catania – in cui meglio si è sviluppata e in cui – dati alla mano, col conforto di Confindustria e Sindacati – più è necessaria. Ne siamo certi. Non ci hanno rassicurati il Rettore e il presidente della provincia di Ragusa dr. Antoci, alto esponente dell’UDC regionale, quando sono venuti in facoltà a notificare lo spostamento della facoltà stessa a Ragusa e non sono neppure riusciti a rispondere alla nostra domanda, che era ed è semplice: perché la facoltà non può rimanere con una doppia sede, Catania e Ragusa, come è stato per dieci anni, dato che tutti la hanno sempre citata come esempio positivo (per ricerca e qualità della didattica, nonostante abbia un rapporto docenti/studenti tra i peggiori dell’ateneo: un docente per circa 105 studenti. Media italiana 1/28; media europea 1/14…)? Ci ha ulteriormente convinto nel nostro timore la lettera del presidente del consorzio ragusano, il quale rappresenta le più alte istituzioni di quel territorio (nel consorzio ci sono comune di Ragusa, Provincia di Ragusa…). Quella lettera non sta preoccupando e occupando solo noi, ma molte forze politiche, sociali e istituzionali della città di Catania. Come potrebbe essere diversamente? Evitare di prendere posizione su quella lettera sarebbe un atto vigliacco. Anche per questo, credo, le forze politiche del PD, SEL, Rifondazione, PdCI, IDV se ne stanno occupando a livello cittadino e regionale, ed hanno inserito, sia pur per ultima, la questione della facoltà tra le vicende dell’ateneo su cui pare loro necessario aprire un dibattito.
Guardando al domani: due domande, un’ultima scusa e due convinzioni.
La prima domanda: che senso ha spostare una facoltà con pochi docenti (oggi otto, domani qualcuno in più) a Ragusa per sei mesi, dopo i quali entrerà in vigore una legge (la “riforma” Gelmini) che cancella le facoltà e chiede che vi siano solo dipartimenti con non meno (nel nostro ateneo) di 45 docenti? Non sarebbe stato meglio per tutti far vivere la facoltà in un assetto bipolare consolidato e poi lavorare a un grosso dipartimento di lingue tra Catania e Ragusa?
La seconda. Ma a Ragusa è chiaro cosa accadrà a breve? Lo domandiamo – col massimo rispetto, anche qui e tra i docenti c’è grande confusione, come tutti sanno – perché a qualcuno di noi è capitato di parlare, alcune settimane fa, con un esponente pubblico ragusano il quale sosteneva che “per la città di Ragusa la facoltà di Lingue sarà nei prossimi anni una risorsa”. Quando si è replicato che non ci saranno più facoltà, a breve, e gli si è spiegata la legge Gelmini, l’interlocutore è trasecolato e ha chiesto se, onestamente, non fosse tutta una macchinazione del “gruppo di Famoso” (una sorta di Spectre, di Cia occulta che qualcuno si è inventato per qualche interesse, ma che diverte, se possibile, in questa situazione che di divertente ha ben poco). Gli si è risposto che per Ragusa – che ha anche il merito storico di aver consentito l’assunzione di molti giovani e qualificati docenti – e insieme felicemente per Catania sarebbe una grande risorsa un dipartimento (!) di Lingue e culture europee e orientali che operasse in continuità e sinergia, nei prossimi anni. Chi non lo vuole? A quale interesse pubblico e generale corrisponde questa cancellazione?
Una scusa. Avremmo dovuto, da docenti dell’ateneo, venire a Ragusa a raccontare la legge Gelmini e tutte le sue conseguenze, dalla prima all’ultima, e con esse le ricadute che il dettato di legge avrebbe comportato anche in quel territorio, con più argomenti e maggiore convinzione. Lo hanno fatto bene i colleghi ricercatori che hanno continuato, anche con molti sacrifici e in un clima non facile, a insegnare a Ragusa. Avremmo dovuto farlo tutti, per rispetto dei disagi che si sarebbero creati e poi scaricati, magari, sulle spalle dei livelli più deboli, a livello sociale come istituzionale. A Catania in questi mesi di protesta, occupazioni, assemblee, c’è stato disagio – chi lo nega? – ma anche una grande quantità di atti di solidarietà tra ricercatori, docenti e studenti e insieme una presa di coscienza comune e crescente dei problemi dell’università e degli errori della politica. Senza di ciò, senza il rapporto che c’è con i nostri studenti – nella situazione che viviamo insieme, studenti, personale tecnico e docenti – niente sarebbe potuto andare avanti di un centimetro.
Prima convinzione. Chi menziona atti dispregiativi subiti, dovrebbe chiedersi se egli stesso ha messo in essere atti di tale genere o di più gravi. Tale verifica su di sé può essere utile e salutare. Per il resto la certezza di guardare con grande serenità ogni atto della magistratura o di organi di controllo e disciplinari, presenti e futuri, su qualsivoglia vecchia, attuale o nuova questione che dovesse verificarsi, è cosa che dovrebbe accomunare, in una paese civile, e non dividere. Ma tant’è…
Seconda convinzione. Questa vicenda volge al termine. I tanti versanti, taluni purtroppo miseri – versanti umani, tecnici, giuridici – che la contraddistinguono, qualificheranno, in futuro, gli attori che vi hanno preso parte. Catania difenderà il suo asse formativo linguistico, di fronte a tutti, con tutti gli strumenti leciti e legittimi a disposizione. I migliori auguri a Ragusa ed ai colleghi che lì operano, al presidente del consorzio, al personale non docente, sempre competente e disponibile, ma soprattutto agli studenti che abbiamo conosciuto, apprezzato e stimato in anni di lavoro. Di certo tra i migliori della nostra esperienza di docenti. Ci auguriamo che anche Ragusa possa avere corsi di laurea che crescano insieme alla sua realtà, che tanto lo merita; e siamo certi che Catania avrà grandi risultati, forse inaspettati per qualcuno, ma non per noi. Perché i corsi di Lingue di Catania hanno elevate professionalità, ottimi progetti, una motivazione crescente, una capacità di guardare il mondo che li circonda e una missione – pubblica e culturale – ben difficili da sconfiggere, come testimonia l’apprezzamento sempre più ampio degli studenti.
Siamo alla prova – e siamo pronti – già da ora e per il futuro dei nostri giovani.
E lavoriamo per un ateneo e una città che siano migliori.
Stefania Arcara
Mirella Cassarino
Domenico Cusato
Anita Fabiani
Luciano Granozzi
Sebastiano Grasso
Gaetano Lalomia
Simona Laudani
Alessandro Lutri
Antonio Pioletti
Felice Rappazzo
Attilio Scuderi
Carminella Sipala
Sebastiano Vecchio
Francesca Vigo
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