Detenuti e diritti, quelle vite sospese dietro le sbarre «Nelle carceri del Sud pochi aiuti per reinserimento»

Pochi giorni all’interno di un carcere palermitano bastano per constatare come si vive da reclusi. Chi c’è stato racconta di un mondo dove è difficile parlare di diritti, dove sei considerato ormai al di fuori della società civile. Si tratta di persone che hanno commesso dei reati, anche penali, ma per i ragazzi del centro sociale Anomalia questo non basta a giustificare le condizioni in cui queste persone vivono la loro permanenza dietro le sbarre. Sempre più spesso si parla di sovraffollamento. Sempre più spesso la cronaca racconta di suicidi in cella. Qualcosa sta cambiando, ma lentamente. Per questo il 22 settembre sfileranno in corteo dal Borgo Vecchio al carcere Ucciardone per manifestare la propria solidarietà ai detenuti. Ieri mattina una prima tappa della campagna: Palermo tappezzata di striscioni in cui Anomalia chiede: «Amnistia per tutti».

«All’interno delle carceri palermitane ci sono tantissime cose che non ti permettono di far rispettare i tuoi diritti  – spiega Emmanuele Surdi di Anomalia –  Del resto sono molti quelli che non considerano i detenuti come persone. Se uno entra in determinate carceri, come ad esempio al Pagliarelli, si trova a potersi lavare soltanto tre volte a settimana». Oltre al primo impatto, che già è molto duro, poi c’è la permanenza all’interno del carcere che via via diventa sempre più complessa: «Moltissime famiglie palermitane e siciliane non hanno la possibilità di andare a trovare i propri parenti detenuti all’interno della propria città, o altri vengono trasferiti addirittura al di fuori della Sicilia». Emmanuele racconta di un caso in particolare, che ha vissuto in prima persona quando anche lui per 18 giorni ha vissuto il carcere: «C’era un 40enne catanese che ho conosciuto in quella occasione, che non è in condizioni di parlare con i propri familiari, costretti per vederlo a percorrere 200 chilometri». Spesso, racconta, «il detenuto non sa quando viene trasferito. Alla famiglia lo comunicano quando è già lontano. A volte il giorno stesso del trasferimento. Questo è quello che è successo a questa persona. È stato spostato dal penitenziario dove si trovava e ora è qua a Palermo. Abbiamo cercato di aiutarlo, ma possiamo comunicare con lui soltanto via lettera. I detenuti possono incidere poco sulle loro condizioni di vita, anche per richiedere il minimo indispensabile. Dall’esterno  – conclude Emmanuele –  è necessario che nasca un movimento per esprimere solidarietà e per parlare della questione carceraria, un tema poco trattato non solo dalla politica». 

«Vive in molte persone un innato spirito di giustizialismo – gli fa eco Chadli Aloui, anche lui di Anomalia – senza contare che nel Meridione il concetto di espiazione della pena è quasi pre-Illuminista. Già dal 1800 è stato superato il concetto che l’uomo è delinquente punto e basta. Il periodo in carcere dovrebbe servire anche per fare reinserire le persone nella società, per reintegrarli. Anche se anche questa è una pratica che ha le sue zone grigie». Aloui parla di una differenza di trattamento tra i detenuti del Sud e del Nord. «I detenuti sono in maggioranza extracomunitari e meridionali. Nei confronti di questi ultimi è come se fosse prevista una doppia pena. Le condizioni carcerarie sono peggiori e non ci sono al Meridione le stesse possibilità di accedere a corsi o attività per garantire il reinserimento in società».  Poi parla della sua esperienza in carcere a Palermo, vissuta nello stesso periodo di Surdi: «Ho conosciuto persone di Trapani, Messina, Catania, che avevano difficoltà economiche e hanno chiesto di essere trasferite in altri istituti del Nord per accedere ai corsi per imparare un mestiere, per ottenere un attestato. Al Pagliarelli ne ho conosciute diverse. Un altro problema è dovuto al fatto che ad esempio non c’è modo di svolgere alcuna attività fisica, cosa che pesa di più a chi deve scontare una pena lunga». 

Per questo chiedono che «intanto si segua la legge prevista dall’Ue sui diritti dei detenuti e che si vada oltre la questione della punizione, che sembra quasi una tortura silente. Poi ci vuole un piano serio da parte delle istituzioni sulle fasce sociali per incrementare le misure dello Stato sociale altrimenti il carcere si trasforma in pura repressione. Occorre costruire un’alternativa per liberare le persone dal bisogno. Per questo chiediamo l’amnistia, che vige solo per reati comuni e può essere una risposta al sovraffollamento e non viene concessa dal 1990. Una misura diversa dall’indulto dato nel 2006 che valeva nei confronti di una precisa fascia sociale, chiediamo l’amnistia per tutti», conclude Aloui. 

Stefania Brusca

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