Destinazione Italia (senza biglietto di ritorno)

Nell’agosto del 1999 due ragazzi di 14 e 15 anni della Guinea Conokry decidono che l’unico modo per cambiare la propria vita e sperare in futuro migliore è quello di affrontare un lungo viaggio verso l’Europa. Scrivono quindi una lettera indirizzata ai “signori membri e responsabili dell’Europa” e si nascondono nel vano delle ruote di un Boeing 747 con destinazione Bruxelles. I corpi di Yaguine e Fodé vengono ritrovati il 2 agosto all’aeroporto di Bruxelles e la loro lettera, nella quale chiedono aiuto per i bambini dell’Africa, ha fatto il giro del mondo.

Sono passati più di dieci anni e giovani migranti continuano a morire nel tentativo di raggiungere il nostro continente; molti altri riescono ad entrare. Essi sono spesso incoraggiati o addirittura inviati verso l’Europa dai genitori, che sperano per loro in un futuro migliore; altri fuggono da una vita segnata da povertà, miseria ed abusi e partono contro la volontà della loro famiglia.

Secondo le ultime stime di Save the Children sono poco meno di 8.000 i minori stranieri che si trovano in territorio italiano senza l’assistenza di genitore o di un altro adulto per loro legalmente responsabile. E, sebbene essi siano titolari di diritti riconosciuti a livello internazionale, la loro situazione in Italia è sempre più precaria.

Ne abbiamo parlato con Glauco Lamartina, Presidente della Cooperativa Sociale “Prospettiva” Onlus di Catania, la quale ospita un centro di Pronta Accoglienza per minori in difficoltà, stranieri o con cittadinanza italiana.

Da quanto vi occupate di minori stranieri non accompagnati?
«La cooperativa esiste dal 1981 ma due anni fa abbiamo aperto, con il contributo della “Fondazione Umanamente”, un centro di Pronta Accoglienza che può accogliere sia maschi che femmine, per un totale di 10 posti che sono stati quasi tutti immediatamente occupati da minori stranieri in difficoltà. Attualmente abbiamo ospiti provenienti dalla Tunisia, dall’Egitto, dalla Costa D’Avorio, dal Kenya, oltre a due ragazzine nigeriane e tre ragazzi del Bangladesh».

Qual è il tempo di permanenza presso la vostra struttura?
«La legge prevede che la pronta accoglienza debba avere una durata di circa 3 mesi, conclusi i quali il minore deve essere indirizzato verso una struttura di tipo residenziale presso la quale si metterà in atto un progetto educativo di lunga durata. La nostra cooperativa gestisce una struttura di questo tipo che però può ospitare solo ragazzi: la Comunità Aperta “Prospettiva”».

Secondo Save the Children la percentuale di minori che fugge dai centri di accoglienza si aggira intorno al 30%. Qual è la percentuale di fughe registrate presso il vostro centro?
«Nessuno dei nostri ospiti si è allontanato dal centro. Nel caso in cui il minore esprima la volontà di raggiungere un parente o un connazionale in un’altra città verifichiamo le condizioni ed eventualmente lo aiutiamo negli spostamenti».

Quali sono le principali rotte d’ingresso di questi migranti?
«Per i ragazzi provenienti dall’Africa il punto di accesso principale è Lampedusa. Ma in seguito agli scellerati accordi italiani con il governo libico gli sbarchi si sono ridotti di molto. I ragazzi che provengono dall’Asia invece arrivano in Italia attraverso diversi punti d’ingresso, fra i quali il porto di Brindisi. I nostri tre ospiti del Bangladesh hanno raccontato di aver raggiunto Brindisi legati alle assi del motore di un camion merci».

Nei racconti dei suoi ospiti qual è il momento del loro viaggio migratorio che ricordano come più difficile?
«Per tutti i migranti che provengono dall’Africa non ho dubbi: la permanenza in Libia. Molti di loro raccontano di un’estenuante attesa nei centri di raccolta, ammassati come animali e soggetti ad abusi di ogni tipo, anche sessuali».

Ritiene che le aspettative dei suoi giovani ospiti siano soddisfatte all’arrivo in Italia?
«Ognuno di loro ha un’immagine piuttosto distorta dell’Italia, un’immagine più mitica che reale. Essa infatti decade piuttosto presto, anche perché la legislazione italiana, come sappiamo, ostacola l’immigrazione. Ma il ritorno rimane comunque un’alternativa che non può essere presa in considerazione: spesso infatti la famiglia del minore si è indebitata fino al collo per pagare le spese del viaggio. Attualmente in Italia si stanno promuovendo diverse iniziative che finanziano il rimpatrio degli immigrati. Ritengo che tali iniziative siano veri e propri atti di egoismo, perché il loro è un viaggio che non può prevedere un ritorno».

Serena Bordignon

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