Il sistema scolastico e universitario italiano è in grave pericolo. Un pericolo serio, reale, non dovuto al dilagare della tv spazzatura, non provocato dal terrorismo islamico e stranamente neppure causato dai mutamenti climatici; la scuola e l’università italiana sono a rischio perché si vogliono tagliare drasticamente le risorse che, pur tra mille difficoltà, hanno permesso fino a oggi il loro funzionamento e garantito l’esistenza di insegnanti e ricercatori convinti di star svolgendo un compito importante.
Forse è per questo senso profondo di autostima e di fiducia verso se stessi che insegnare non è un lavoro come un altro, è una vocazione. Fare ricerca non è una comoda pratica per timbrare il cartellino e poi subire un lavoro più o meno tollerato o detestato, è spendere sogni, anni, fatica e sudore per studiare, interpretare, valutare, elaborare ipotesi, fare confronti, trasmettere conoscenze e gli strumenti per elaborarle.
In tutti i Paesi dell’Unione europea l’insegnamento, dalle scuole materne alle università, è considerato attività degna del massimo rispetto, in quanto riserva strategica di competenze e sapere; nel nostro paese l’insegnante è screditato agli occhi di un’opinione pubblica resa sempre meno responsabile verso il futuro, il docente universitario viene visto come un comodo elefante parcheggiato in una ricca e placida savana, mentre il ricercatore viene considerato un tipo strambo prossimo al disadattamento.
Non è esagerazione dare queste definizioni, sono le stesse che spiegano e giustificano la campagna di tagli indiscriminati all’istruzione, all’Università e alla ricerca che sono state preventivate e adottate dal governo attuale, di concerto tra il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini e il ministro dell’economia Giulio Tremonti. Leggendo le tabelle allegate al DL 112/08, ora convertito nella Legge 133/08 votata durante il mese di agosto, si sobbalza leggendo l’entità dei tagli di fondi che, per quanto riguarda l’Università, si concretizzano in 63,5 milioni di euro per l’anno 2009, in 190 milioni per il 2010, in 316 milioni per il 2011, in 417 milioni per il 2012 e infine in 455 milioni per il 2013. In un quinquennio verranno sottratti alla alta formazione e alla ricerca ben 1.441 milioni di euro. Per la scuola le previsioni sono ancora peggiori: i tagli ammontano a 456 milioni di euro per l’anno 2009, a 1.650 milioni per il 2010, a 2.538 milioni per il 2011 e a 3.188 milioni per il 2012. In totale, alla formazione scolastica e universitaria italiana verranno sottratti 10 miliardi di euro in un periodo di cinque anni. Si tratta di una cifra paragonabile all’entità degli aiuti inviati in Italia col Piano Marshall dal 1948 al 1952. Quattro anni che allora cambiarono in meglio un Paese devastato dalla guerra, cinque anni che oggi possono distruggere quello che rimane di un sistema scolastico e universitario che un tempo era additato come tra i migliori al mondo.
Un piano Marshall al contrario che rappresenta il più complesso e strutturato attacco al sistema dell’istruzione inferiore, media e superiore attuato in Italia dalla nascita dello Stato unitario; una campagna che da un lato mira a dequalificare i docenti accorpando le classi di insegnamento – nel caso della scuola media inferiore e superiore – e dall’altro a colpire le università come centri di ricerca e studio, prevedendone la possibile trasformazione in fondazioni dalla natura giuridica ambigua, libero campo di speculazione e di profitto per consorterie di furbetti e rapaci; in più non vengono previste assunzioni per sostituire i pensionamenti e vengono lasciate inalterate retribuzioni che, soprattutto nel caso dei «giovani» ricercatori appena assunti, rasentano il ridicolo: 1.090 € al mese: Insomma, l’Università e la Scuola vengono relegati nel ruolo di comodi sacchi di sabbia istruita sui quali i pugili politici svolgono il loro quotidiano allenamento.
I firmatari di questa lettera denunciano questo scempio scellerato a tutti i cittadini coscienti del ruolo fondamentale che la scuola e la università ha giocato nella formazione di ciascuno di loro; richiedono al governo di recedere dalla deliberata volontà di dissanguare il sistema dell’istruzione pubblica; dicono sì alla tutela della professionalità e al riconoscimento dei meriti ma chiedono anche l’adeguamento delle retribuzioni ai livelli degli insegnanti e ricercatori dei Paesi dell’Unione europea.
Un paese nel quale chi insegna o ricerca è costretto a vergognarsi di ciò che fa, perché sottovalutato, denigrato e offeso proprio da chi dovrebbe garantire la sua professionalità, non è un paese né per giovani né per vecchi: è un paese di anime morte.
Piero Graglia, Università degli Studi di Milano
Cristiana Fiamingo, Università degli Studi di Milano
Maria Elisa Giunchi, Università degli Studi di Milano
Roberto Moro, Università degli Studi di Milano
Marco De Nicolò, Università degli Studi di Cassino
Fabrizio Fiume, Università degli Studi di Bari
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