Dentro l’ex cartiera Siace sul lungomare di Fiumefreddo Tra veleni e street art, docuvideo di un gruppo di studenti

Per anni, da bambini con mamma e papà, e poi quando si sono affacciati all’adolescenza in sella alle loro bici e ai loro scooter, sono passati davanti a quel mostro abbandonato di fronte al mare. Per chi frequenta il lungomare che da Riposto arriva a Fiumefreddo, è impossibile non sbattere la faccia sull’enorma area delle ex cartiere Siace e Keyes. «Che degrado, chissà quali veleni ci hanno lasciato dentro», il ritornello comune. «Il sospetto, molte forte – scrive la Regione – è che in tutti questi anni la zona possa essere stata trasformata in una discarica abusiva, con la presenza anche di rifiuti cancerogeni come l’amianto». Loro, un gruppo di studenti tra i 16 e i 18 anni, però, non si sono fermati al sospetto. Ma, cellulari e videocamera alla mano, muniti di torce, guanti e mascherine, sono entrati. L’hanno visitata in lungo e in largo, documentando il tutto in un prezioso video. 

«Parte del gruppo conosceva già, sin dalla giovanissima età, questo sito – raccontano a MeridioNews i nove giovanissimi reporter – Lo abbiamo scoperto frequentando la spiaggia di fronte e passando sul lungomare. Sapevamo che fossero due ex cartiere abbandonate e che sarebbero dovute diventare il più grande parco tematico del Sud-Italia». La curiosità è aumentata in classe, all‘istituto tecnico industriale di Giarre. A rispondere alle loro domande è stato un lungimirante prof che di cose sull’ex cartiera Siace ne sa tante, visto che il papà per anni ha guidato il muletto nella fabbrica. Le ricerche sul web hanno fatto il resto. E cosa fa un gruppo di 16-18enni quando deve comunicare la sua scoperta? Apre ovviamente un canale Instagram e uno Youtube, Mysteries of Sicily, che nel loro progetto diventerà un contenitore delle loro scoperte di luoghi dimenticati in giro l’isola. 

«Riguardo a ciò che abbiamo visto – raccontano – pensiamo prima di tutto che un’entrata così agevolata possa nuocere a persone di qualsiasi età e poi non credevamo che là dentro ci fossero dei rifiuti chimici dopo così tanti anni e tutti quei documenti». Le immagini che hanno girato contribuiscono in parte all’urgente necessità di sapere cosa nascondono quei due enormi relitti industriali. Oltre a tre silos ancora pieni di sostanze chimiche, si trovano numerosi fusti arrugginiti, pure questi ancora pieni di solventi e prodotti usati dalle cartiere, e diverse taniche di Basazol, un colorante per carta e cartoni ancora in commercio. Molti tetti sono venuti giù e tra le macerie c’è una massiccia presenza di amianto in pessimo stato di conservazione, spesso frantumato e quindi altamente pericoloso. Alcune logore copie de La Sicilia fermano il tempo al 25 ottobre del 1992 quando in prima pagina si parlava di una svolta nelle indagini sulla strage di via D’Amelio e del boccheggiante primo governo Amato. Ma in questi scheletri è pure fiorita la street art, con splendidi murales.

L’ex cartiera Siace, fondata nel 1964 dal banchiere mafioso Michele Sindona, fallì nel 1987. La vicina Keyes ebbe lo stesso destino 15 anni dopo. Nel 1999 l’ex provincia di Catania compra per 17 miliardi di lire questi 47 ettari per farli diventare il più grande Parco divertimenti del Sud, Sicilyland. Mai realizzato. Pochi giorni fa il governo guidato da Nello Musumeci (era sempre lui il presidente della provincia etnea nel ’99) annuncia un passo avanti, dopo anni di silenzio assoluto. «Il dipartimento regionale dell’Acqua e dei rifiuti ha approvato il Piano di caratterizzazione – comunica in una nota – strumento propedeutico per individuare il tipo di inquinamento esistente, anche nel sottosuolo, e quindi procedere alla successiva bonifica. A essere controllato sarà anche il boschetto circostante».

Nell’area dell’ex cartiera Siace una parziale bonifica è già stata fatta nel 2012. Due anni dopo, è stata aperta un’inchiesta con l’ipotesi dei reati di frode in pubblica fornitura, truffa e violazione della legge sullo smaltimento dei rifiuti a carico dell’amministratore delegato della ditta di Villa San Giovanni (in provincia di Reggio Calabria) che era stata incaricata dei lavori. Secondo gli inquirenti, la società – che aveva ricevuto un appalto da oltre 300mila euro – avrebbe sotterrato cemento e amianto nel sottosuolo, invece di smaltirlo secondo le prescrizioni di legge.

Salvo Catalano

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