Titolo: Delitto e castigo
Autore: Fedor Dostoevskij
Riduzione teatrale e Regia: Glauco Mauri
Scene: Alessandro Camera
Costumi: Simona Morresi
Musiche: Antonio Annecchino
Interpreti: Glauco Mauri, Roberto Sturno,
Cristina Arnone, Mino Manni, Simone Pieroni
Produzione: Compagnia Mauri Sturno
Fedor Dostoevskij sin da giovane aveva avvertito un senso di curiosità nei confronti dellesistenza umana, tale che decise di dedicare gran parte del suo tempo nel comprendere quali fossero le ragioni scatenanti che spingono luomo comune ad agire spesso impulsivamente e sconsideratamente. A volte tali azioni appaiono in contrasto col suo modo di essere, ma in realtà sono fondamentali per capire la sua vera essenza e identità, celata dietro ad una maschera di ipocrisia e di conformismo che indossa quotidianamente e che lo obbliga a confondersi con il resto della folla. Una condizione difficile da sopportare, quasi una limitazione, un ostacolo che ogni individuo deve essere pronto a saper oltrepassare, anche a costo di compromettere la propria vita.
Tale è la condizione che soffrono i personaggi nati dalla sua penna, sempre immersi nella realtà della vita quotidiana, continuamente divisi tra il bene e il male – il Diavolo e Dio sono sempre in lotta tra loro e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini – , ma con uno scopo ben preciso: la ricerca del senso della vita, una lotta faticosa che alla fine riuscirà a restituire ad essi la dignità di vivere la loro esistenza.
Luomo è un mistero difficile da risolvere, ma io voglio cercare di comprendere questo mistero perché voglio essere un uomo . Queste le parole del grande scrittore russo, quasi una sentenza che guidava la sua stessa vita e che lo portò a scrivere alla tenera età di diciotto anni il suo romanzo più famoso, Delitto e castigo, un lavoro impegnativo ed esemplare della sua filosofia. La trasposizione scenica del romanzo non è stata cosa facile, data la complessità di un lavoro così ricco di personaggi e di storie che si intrecciano fra loro. Il regista Glauco Mauri, nonché interprete del personaggio di Porfirij Petrovic, ha deciso di concentrarsi più sullidea originale dellautore, dalla quale si è poi sviluppato tutto il racconto: la discesa negli abissi delluomo causata da unazione scellerata ed avventata, un delitto di cui viene offerto un resoconto psicologico, che parte dallanalisi dellassassino, Rodion Romanovic Raskolnikov (Roberto Sturno), fino ad arrivare alla sua motivata confessione.
La proiezione delle azioni dellomicida viene analizzata da due prospettive a prima vista differenti, ma che in realtà hanno molto in comune. La prima è data proprio dallo stesso Raskolnikov, un uomo alla continua ricerca della sua vera identità, deciso ad oltrepassare lostacolo del conformismo per ritrovare se stesso come essere umano che si distingue dalla massa. Con i suoi monologhi si interroga su quesiti a cui inizialmente non è in grado di dare risposta, ma alla fine riuscirà a capire le motivazioni che lo hanno spinto ad agire in un modo che nessuno, nemmeno lui stesso, si sarebbe mai aspettato.
Il pubblico sin dallinizio della rappresentazione si renderà conto che Rodion sta per compiere unazione irruente, ma perché commettere un omicidio, anzi due?non sarebbe bastato rubare la cassetta di sicurezza con dentro i beni ed i denari della vecchia usuraia? No, questo non è sufficiente. Non è per soldi che Raskolnikov uccide, egli sa di avere un compito ben preciso, una missione altruista: salvare la povera gente in balia dellanziana strozzina. Tuttavia ben presto egli si accorgerà che il suo gesto premeditato si trasformerà in qualcosa di più complesso, un ostacolo ancora più grande da dover oltrepassare, ma che una volta superato riuscirà a restituirgli la sua vera identità di uomo. Laltro assassinio? La povera Elizabet, sorella dellusuraia, si trovava lì per caso, ma non sarebbe stato molto prudente lasciarla in vita, avrebbe potuto spifferare tutto alla polizia e così la missione benevola di Rodion sarebbe stata punita. Dunque il pubblico conosce subito lidentità dellassassino, un avvio sorprendente ed imprevisto che però è necessario affinché possa cominciare lintrospezione psicologica del protagonista della storia.
Allispettore Porfirij è dato il difficile compito di comprendere loscurità dei pensieri di Raskolnikov, sottolineate da unambientazione piuttosto cupa e tenebrosa e da continui cambiamenti di scena, determinati da alti pannelli divisori che alzandosi e spostandosi verso il basso delineano la scena proponendoci le tre prospettive principali in cui si svolgono le azioni dei personaggi: la strada, la casa di Sonja e quella dellispettore. La prima rappresenta un luogo neutrale dove Rodion non ha il timore di rivelare i suoi pensieri, la seconda invece si rivela lo spazio più sicuro, in quanto Sonja è lunica persona in grado di capirlo, infine laltro luogo di rifrazione è un ambiente da lui prediletto, dove può fermarsi a riflettere sul carattere dei personaggi che gli girano intorno. È proprio attraverso queste sue indagini introspettive che Porfirij, già a conoscenza del carattere singolare del giovane Raskolnikov, grazie ad uno strano articolo che lui stesso aveva fatto pubblicare sulla rivista Parola periodica, riuscirà a capire lidentità dellassassino, invitandolo più volte nel suo studio e chiacchierando con lui del più e del meno.
Quando Rodion si accorgerà dellinutilità del suo gesto, posto in risalto dalle lunghe discussioni con lispettore, realizzerà di aver agito con la stessa istintività di un uomo comune e quindi riconoscerà il suo gravissimo errore. In apertura si leggeva sul palco in che sogno maledetto mi sto gettando? (voci della coscienza rese visive a più riprese durante lo spettacolo tramite uno proiettore) e alla fine, ricalcando una struttura ciclica, la messa in scena si chiude quando catapultato dal sogno alla dura vera realtà il Protagonista del Delitto deciderà di confessare tutto, riconoscendo il suo più totale fallimento e ricevendo il suo Castigo per un peccato che non sconterà mai, ma gli rimorderà la coscienza. Per sempre.
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