«Raramente capita ad un architetto di trovarsi così avvolto da una tanto complessa congiura di sentimenti architettonici». È il 1980 quando l’università di Catania chiama per la prima volta Giancarlo De Carlo, uno tra i più famosi e anticonformisti architetti italiani, invitandolo a suggerire delle idee per la riqualificazione dell’ex Monastero dei Benedettini. La visione dell’imponente struttura, così come studenti e turisti la conoscono oggi, prende vita lentamente dalle macerie prodotte da anni di incuria successivi alla seconda guerra mondiale. La creatività dell’artista genovese lo porta a scollare «il vecchio sistema di significati e stenderne uno nuovo che consente alla mirabile architettura antica di assumere nuove trame, strutture e ruoli significanti per il mondo contemporaneo», come scrive lo stesso De Carlo nel 2003. Per rendere omaggio al suo lavoro e al suo genio creativo, l’associazione Officine culturali ricorda «l’ultimo architetto del Monastero» con una mostra inaugurata oggi nella quale verranno esposti materiale e foto legati alla sua attività catanese.
«L’evento Un dialogo lungo un quarto di secolo è nato nell’ambito del convegno organizzato dall’Associazione italiana di Storia urbana», spiega uno dei membri di Officine culturali, Nicola Caruso. Tema dell’incontro è Visibile e invisibile: percepire la città tra descrizioni e omissioni, «abbiamo pensato fosse importante ricordare De Carlo in questa occasione». L’architetto scomparso nel 2005, oltre alla riqualificazione dell’ex Monastero, è autore anche del progetto del polo di Giurisprudenza di via Roccaromana, eppure il suo nome non è noto a moltissimi catanesi. «La mostra sarà aperta nei giorni del convegno, da oggi a sabato mattina – prosegue Caruso – Ma sarà visibile anche nei giorni successivi». Tutta la documentazione riguardante il complesso, sia prima che dopo l’intervento di De Carlo, è raccolta nel museo della Fabbrica. «Stiamo lavorando per rendere tutto il materiale, disegni, schizzi, foto, più accessibile. Magari anche online», racconta Caruso. Un archivio che risiede nel ventre del Monastero, custodito dall’enorme cupola rossa ideata dall’architetto, e che racconta la storia di un edificio che sembra aver vissuto mille vite.
«Un luogo è la narrazione di se stesso – recita l’introduzione all’evento, curata dallo stesso Caruso – Allora il Monastero, dopo la confisca avvenuta nel 1866, era diventato una magione di fantasmi: attraverso le crepe del tempo, filtrava distorto il passato, senza coerenza, senza linearità e senza fabula. Ognuno degli usi civili strappava un pezzo di ciò che era stato e distorceva quello che restava». Dai fasti del periodo in cui i monaci ingrandirono e abbellirono senza fine la loro dimora ai giorni nostri, il complesso benedettino è stato adibito a caserma, archivio, scuola, ospitando al suo interno l’osservatorio astrofisico e il laboratorio di geodinamica, oltre alla celebre biblioteca. Nel corso del restauro, lungo trent’anni, Giancarlo De Carlo recupera quanto era danneggiato e lascia il suo segno inconfondibile nelle aule del pianoterra (un tempo scuderie), nell’aula studio tra i due chiostri (il famoso ponte), nel giardino dei novizi e nell’auditorium a lui dedicato. «Non cè separazione fra conservazione e progettazione – si legge nelle sue note del 2003 – Il progetto ha valore proporzionale alla sua capacità di deformarsi per insinuarsi nelle stratificazioni architettoniche esistenti, per diventare strati a loro volta cambiando il senso di tutti gli altri».
[Foto di Monastero dei Benedettini]
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