Uno studio dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) rilancia l’allarme per un pericolo invisibile: le emissioni di radon dalle faglie che solcano i fianchi, densamente abitati, del vulcano Etna. Il gas, inodore, incolore e insapore, è stato collocato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) nel gruppo 1, ovvero quello che racchiude i più pericolosi per la salute umana perché cancerogeni. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Frontiers in Public Health. Numerosi studi internazionali compiuti in diversi Paesi hanno finora attestato come l’esposizione prolungata al radon sia un fattori di insorgenza del tumore al polmone.
La dinamica descritta dagli esperti è semplice e nota già da tempo: le faglie del vulcano fratturano le rocce, agevolando il movimento verso la superficie di gas e fluidi. Tra questi gas, emerge anche il radon, un agente che così contamina edifici e ambienti destinati all’uso umano. Ma è la sintesi che implica lo studio Preliminary Indoor Radon Measurements Near Faults Crossing Urban Areas of Mt. Etna Volcano – firmato dai ricercatori Marco Neri, Salvatore Giammanco e Anna Leonardi – a mettere in luce il potenziale pericolo per la salute umana: le abitazioni con maggiore presenza di radon al loro interno sono ubicate in prossimità di faglie attive. In altre parole, più le case monitorate erano vicine alle faglie, più era alta la quantità di radon al loro interno.
Per tre anni sono state registrate misure continue da dodici sensori collocati in sette edifici sulle pendici meridionali e orientali del vulcano, nei territori di Giarre, Zafferana Etnea, Aci Catena, Aci Castello e Paternò. La rete Ingv monitora 24 ore su 24 l’emissione di radon, elemento utile per interpretare l’attività sismica e vulcanica dell’Etna in raccordo alle altre stazioni di monitoraggio.
I sensori indoor hanno rilevato concentrazioni medie annue spesso superiori a 100 Bq/m3 (Bequerel per metro cubo), valore che corrisponde al primo livello di attenzione per esposizione media annuale raccomandato dall’Oms. In alcuni casi, tale concentrazione media è risultata maggiore di 300 Bq/m3, con punte superiori a 1000 Bq/m3 registrate per molti mesi consecutivamente. Questi dati completano i rilevamenti Ingv delle concentrazioni di radon misurate sui suoli dell’Etna negli anni passati, che hanno mostrato valori variabili da poche migliaia a oltre 70.000 Bq/m3.
Per quanto, dunque, il campionamento di radon riguardi un numero limitato di abitazioni, secondo i ricercatori dell’Ingv i dati raccolti evidenziano un «potenziale problema per la salute della popolazione etnea, che ammonta quasi a un milione di persone». L’Ingv sottolinea come sarebbe «opportuno e utile approfondire ed estendere questo monitoraggio a un campione di edifici maggiormente corposo».
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