Dal 41 bis al salotto di casa: esce il boss Francesco Bonura «Non c’entra il Covid, non sta bene e deve potersi curare»

«Ogni vicenda va affrontata nel suo particolare altrimenti si rischia di scadere in perniciose e inopportune generalizzazioni che alterano la realtà». Questa la raccomandazione cui si appellano gli avvocati Flavio Sinatra e Giovanni Di Benedetto, quando si parla del destino del proprio cliente: Francesco Bonura. Boss di Passo di Rigano dal 2006 al 41 bis nel carcere milanese di Opera, da oggi potrà tornare a casa in regime di arresti domiciliari. Questa la decisione del giudice del tribunale di Milano, che ha destato in poche ore non poche perplessità e indignazione. «Abbiamo letto e sentito sulla vicenda Bonura affermazioni improprie e strumentali che obliterano il caso concreto», insistono gli avvocati di Bonura, che invitano a non generalizzare né a lasciasi andare a fantasiose interpretazioni.

«A fronte di una condanna pari a 18 anni e 8 mesi a Bonura restano da scontare, considerati e maturandi giorni di liberazione anticipata, meno di 9 mesi di carcere. Nel contesto della lunga carcerazione – spiegano – Bonura ha subito un cancro al colon, è stato operato in urgenza e sottoposto a cicli di chemioterapia. Di recente i marker tumorali avevano registrato un’allarmante impennata. Se a tutto ciò si aggiunge, come si deve, l’età Bonura (78 anni), e i rischi a cui lo stesso, vieppiù a Milano, era esposto per il Coronavirus risulta palese la sussistenza di tutti i presupposti per la concessione del differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare in ossequio ai noti principi, di sponda anche comunitaria, sull’umanità che deve sottostare ad ogni trattamento carcerario. Del tutto errato è altresì il riferimento al recente decreto cosiddetto Cura Italia che non si applica al caso di specie e che non ha nulla a che vedere con il differimento pena disposto per comprovate ragioni di salute sulla base della previgente normativa».

Non c’entra, insomma, il Covid. Nelle sue condizioni, Bonura sarebbe probabilmente andato incontro a questo destino a prescindere dall’emergenza sanitaria e dallo stato di crisi di alcuni penitenziari. «Questa è una misura provvisoria – precisa ancora l’avvocato Sinatra -, potrebbe tornare in carcere, in ogni caso a dicembre finirebbe la sua pena. Provvisoria perché attualmente non è possibile apprestare le cure necessarie per il suo tumore, ha bisogno di una serie di cose, per cui il giudice ha disposto i domiciliari. Lo stato di emergenza non c’entra nulla, lui è stato scarcerato per motivi di salute, non è stato scarcerato per il Coronavirus». Sembra, insomma, un caso che non dovrebbe innescare lo spaventoso dubbio che possano ritrovarsi di nuovo fuori altri capimafia anziani e con pregresse condizioni di salute non proprio ottimali. 

Malgrado qualcuno stia già gridando allo scandalo. «Il pericolo che vengano scarcerati boss mafiosi a causa dell’emergenza del Covid-19 è qualcosa di inconcepibile. È qualcosa che va a colpire al cuore la dignità dei siciliani e dei palermitani in particolare – scrivono infatti in una nota ufficiale il segretario regionale della Lega Stefano Candiani e Igor Gelarda, capogruppo al consiglio comunale di Palermo -. Una decisione che fa torto a quei milioni i siciliani che sono sempre stati persone perbene e hanno contribuito, con il loro lavoro e con le loro intelligenze, a rendere grande questa nazione. Senza considerare – insistono – che queste scarcerazioni costituiscono un affronto nei confronti di quei magistrati e quegli uomini e donne in divisa che hanno pagato con il proprio sangue la lotta alla mafia».

Resta il fatto che, virus o meno, Bonura sarebbe comunque uscito dicembre per fine pena. Una pena scontata, quindi, quasi per intero. Senza contare che sulle sue spalle non ha mai pesato alcun ergastolo. L’anziano boss non usciva dal carcere dal 2006, anno in cui fu arrestato nel blitz Gotha. Con Nino Cinà fece parte del gruppo di potere che faceva capo al boss di Pagliarelli Nino Rotolo, a cui si contrappose, voltando le spalle anche agli altri due padrini dello storico triumvirato, Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. Resta però, nonostante tutto, anche il fastidioso dubbio che altri boss al 41 bis possano pensare di sfruttare l’emergenza sanitaria in atto a proprio vantaggio, facendo leva appunto sulla propria anzianità e sul proprio eventuale stato di salute. Un dubbio che andrebbe scongiurato il prima possibile. «Vi erano sicuramente altre soluzioni che avrebbero garantito il diritto alla salute ed alla carcerazione – dice, ad esempio, Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria, a proposito del caso Bonura e non solo -. Bastava trovare posti sicuri in centri clinici o in altri immobili di proprietà dello Stato dove sarebbero stati molto più sicuri dall’essere contagiati che ai domiciliari insieme ai familiari».

«Lo Stato ha perso due volte – dice – Prima nel momento in cui non ha saputo difendere i cittadini dai criminali e secondo quando umilia le famiglie o chi ha subito i reati con la scarcerazione dei loro aguzzini. A breve potrebbero uscire personaggi del calibro di Leoluca Bagarella, i Bellocco di Rosarno, Pippo Calò, Pasquale Condello, Raffaele Cutolo, Teresa Gallico, Tommaso Inzerillo, Salvatore Lo Piccolo, Piddu Madonia, Giuseppe Piromalli, Benedetto Santapaola, solo per citarne alcuni degli oltre settanta che potrebbero avere i “requisiti” per ritornare a casa. Vanificato il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura per le uscite già da qualche giorno e per qualcuno da qualche settimana di personaggi meno noti ma sicuramente con un curriculum criminale di tutto conto. Che servissero provvedimenti di carattere umanitario – continua il segretario generale – che garantissero il diritto alla salute dei detenuti appare chiaro e avrebbero trovato la giusta natura in provvedimenti di clemenza rivolti a tutti quei detenuti immuni-depressi ed ultra settantenni, consentendo di trascorrere l’intero periodo di emergenza Coronavirus ai domiciliari, ma è sconcertante inserire in questi anche chi ha commesso reati gravissimi. Questo rappresenta uno dei momenti più bui degli ultimi dieci anni della storia della politica carceraria italiana, che vede un passo indietro dello Stato di almeno 20 anni».

Silvia Buffa

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