Dacca, i lavoratori si chiedono che ne sarà di loro «Tutto fermo, ma l’azienda risulta ancora aperta»

«Centotrenta famiglie abbandonate. Stato: grazie». Il messaggio – di poche parole, ma chiaro e diretto – da due giorni campeggia sulle inferriate dello stabilimento di via Allegracuore numero 3, ad Aci Catena. Qui ha sede la Dacca, azienda che dal 1971 produce stoviglie in plastica monouso. Pochi giorni fa i vertici della società hanno comunicato agli operai l’impossibilità di stare sul mercato perché dal 2021, in seguita alla direttiva europea intervenuta sul tema della sostenibilità, non sarà più possibile produrre posate in plastica. A ciò si aggiunge il fatto che i più grandi committenti della Dacca – tra cui i gruppi Abate e ad Aligroup – sono andati in fallimento, determinando un calo drastico delle commesse.

Da alcuni giorni gli operai sono fermi per mancanza di lavoro, così hanno dato vita a un sit in davanti allo stabilimento. Dalla dirigenza nulla di ufficiale per il momento trapela, anche se un primo incontro con alcuni operai si è svolto ieri. Mentre il primo cittadino di Aci Catena Nello Oliveri stamattina ha deciso di incontrare i dipendenti e le sigle sindacali. Insieme al sindaco erano presenti l’assessora alle Attività produttive Flavia Fortino e il presidente del consiglio Nando Sapuppo e alcuni consiglieri comunali. Oliveri si è detto disponibile a portare al prefetto le istanze degli operai. «I lavoratori si vedono le porte sbarrate e non hanno la certezza di ciò che sarà del proprio lavoro – dichiara il sindaco-. Attiveremo un tavolo tecnico col prefetto, coinvolgendo anche il ministero, perché questo è un problema che non riguarda solo Aci Catena». Oliveri capisce anche le esigenze della proprietà, che adesso deve fare i conti anche con le banche: «Al momento in cui vengono a mancare gli acquirenti, la proprietà ha esigenze di cassa. Ascolteremo le esigenze di tutti: da parte della dirigenza ho visto molta disponibilità».

L’atmosfera davanti allo stabilimento sembra serena, anche se tra gli operai c’è chi ammette la rassegnazone. «Non sappiamo cosa voglia fare l’azienda – dice uno di loro -. Stiamo morendo ma non sappiamo di cosa. I vertici ci dicono che devono chiudere, ma i tempi si stanno allungando». In questi anni, l’azienda ha cercato di riconvertire la produzione verso sistemi ecosostenibili, ma i progetti presentati si sono rivelati troppo costosi. Tutti passaggi che hanno posto l’azienda in una forte crisi che dura ormai da tre lustri. Tanti licenziamenti e molti i ricorsi alla cassa integrazione per diversi operai. Oggi la Dacca rimane un grande colosso dell’hinterland acese, senza acquirenti, con tre milioni di euro di debiti. Il prossimo passo dovrebbe essere la consegna dei libri contabili in tribunale, per poi dichiarare il fallimento. Ciò permetterà agli operai di sganciarsi e percepire la disoccupazione. «Per adesso siamo in un limbo – commentano – l’azienda risulta ancora aperta, ma non possiamo lavorare. Ma quel che è peggio è che dobbiamo aspettare ancora per avere una piccola entrata (l’indennità di disoccupazione, ndr) e poter dare da mangiare alle nostre famiglie». 

Tra i lavoratori c’è chi, nonostante tutto, spera ancora in una ripartenza: «La comunità europea poi potrebbe rinviare la data a partire dalla quale sarà vietato l’uso della plastica – dice Salvatore Principato, da molti anni a servizio della Dacca -. Vorremmo avere il tempo di riconvertire la produzione e ripartire, sperando che qualcuno rilevi l’azienda». Ad attendere l’apertura di un tavolo tecnico in prefettura sono anche i sindacati. «In prima battuta avevamo trovato un accordo per una cassa integrazione per riconversione – spiega Giuseppe Coco, segretario generale della Femca Cisl – Avrebbe permesso di mettere in cassa integrazione le persone in attesa di riconvertire l’azienda con i nuovi prodotti. Ma dopo gli ultimi avvenimenti la situazione è cambiata. Chiediamo un tavolo in prefettura e dopo procedere con un ammortizzatore sociale. Nel frattempo bisognerà guardare a eventuali soggetti che possano rilevare l’azienda».

Carmelo Lombardo

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