Da Viagrande all’Ucraina per adottare due bambine «La più grande ormai sa anche parlare in siciliano»

In linea retta, tra Viagrande e Kiev ci sono 1877 chilometri. Possibilmente Andrea e Maria non ne avevano la più pallida idea, quando hanno deciso di ricorrere all’adozione internazionale. Di sicuro non potevano immaginare quel che avrebbero patito nei mesi seguenti. Un viaggio estenuante e pericoloso, un labirinto burocratico ubriacante, un paese straniero quasi in stato di guerra. Ma in questa storia c’è il lieto fine. Ci sono – soprattutto – due bambine che hanno trovato il calore di una famiglia. 

Andrea e Maria sono sposati da 17 anni, ma non hanno figli. Lui ha 53 anni, lei 57. Vivono a Viagrande, una tranquilla cittadina alle pendici dell’Etna. La scelta di diventare genitori adottivi viene presa «più per il desiderio di fare del bene agli altri – spiega Andrea – che per una questione egoistica, puramente genitoriale». Il primo passo è l’invio di un’istanza di idoneità al tribunale dei Minori di Catania, che – al termine di una fase di indagini sul reddito e di verifiche ad ampio spettro effettuate dai servizi sociali del Comune di residenza – invita i due a compiere una sorta di formazione in alcune case famiglia. Dopo poco più di tre mesi, il tribunale emette il decreto di idoneità. I due cinquantenni scelgono come nazione l’Ucraina, perché degli amici vivono lì. La crisi internazionale della Crimea è tutt’altro che risolta, ma a loro non importa granché. Pochi mesi prima è culminata nella separazione per via referendaria della penisola e nella sua annessione alla Russia, per le strade la tensione non è affatto svanita. Si affidano all’associazione Lo scoiattolo, con una lunga esperienza nel settore. Hanno diritto a fare tre tentativi. Nove mesi dopo, nel luglio 2015, sono a Kiev. Si trattengono per 25 giorni, ma le prime due prove vanno male. Così rientrano in Sicilia, senza perdersi d’animo. 

Ritornano nella capitale ucraina nel dicembre del 2015. Compiendo gli stessi passaggi. Il ministero per la Gioventù e la Famiglia li autorizza a visitare l’istituto per minori disagiati di Nicolayev, nelle vicinanze di Sloviansk, non lontano dal confine russo. Seicento bambini, molti dei quali vittime di violenza. Lì dentro viene impartita un’educazione a dir poco rigida. Il direttore presenta loro due bambine, sorelle, di 10 e 9 anni. Ucraine, sebbene di origine e di lingua russa. Sono cresciute a Kostiantynivka, in una delle zone più povere del Paese. I genitori biologici sono morti. Le incontrano un’ora al giorno per quasi tre mesi. Frattanto soggiornano tra Kiev e Sloviansk respirando un clima di tensione perenne. 

Le immagini che il mondo vede alla televisione, per loro diventano una spaventosa quotidianità. Ci sono check-point russi con blocchi di sabbia, carri armati schierati sulle strade. Le perquisizioni personali sono all’ordine del giorno. In più di un frangente, Andrea e Maria vengono quasi sopraffatti dalla paura. «Una volta, sulla strada per l’istituto – raccontano – siamo stati fermati e trattenuti a lungo dai paracadutisti russi. Non riuscivamo a capire cosa volessero da noi. Non capivamo una parola. Facevano controlli sui nostri passaporti. Ci hanno lasciato passare dopo un paio d’ore.» Le più lunghe della loro vita, forse. Pochi giorni dopo arriva l’udienza decisiva. Nel febbraio 2016. Il giudice minorile ascolta tutti: gli psicologi, il direttore dell’istituto, i servizi sociali, la stessa coppia siciliana. La legge del luogo affida una forma di potestà giuridica anche alle stesse bambine. Devono dichiarare, oralmente e per iscritto, che intendono andar via con i genitori adottivi. Lo fanno. I neo genitori sbrigano le ultime formalità burocratiche. Poi prendono un volo e ritornano a Viagrande. Tutti e quattro insieme. 

Oggi le bambine vanno a scuola ad Acireale. Il loro inserimento procede più veloce del previsto, cominciano ad imparare la lingua. Naturalmente sono seguite da specialisti. «Ogni tanto – scherza Andrea – la più grande parla perfino in siciliano». C’è qualcosa, di questo viaggio, che intendono dimenticare? «No – rispondono – nulla. Ci è voluta tanta tenacia. Siamo davvero felici». 

Marco Militello

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