Da Palermo una protesta che, passando da Roma, arriva a Bruxelles

IL CAPOLUOGO DELL’ISOLA, CON LE PIAZZE PIENE DI STUDENTI, DISOCCUPATI E ‘NO MUOS’, VISTA DA MILANO, ESEMPLIFICA E SINTETIZZA LA CRISI DELL’INTERO PAESE. ANCHE DI UN NORD ORMAI PERIFERIA DELLA GERMANIA

di Economicus

Giornata particolare, quella andata in scena oggi a Palermo. Giornata di protesta multipla. In piazza sono scesi gli studenti, i protagonisti del Movimento “No Muos”, i precari che hanno capito che, a gennaio, Governo nazionale e Governo regionale, li manderanno a casa.

Palermo, nel bene e nel male, esemplifica e sintetizza le contraddizioni e i problemi sociali non risolti – e in parte mai affrontati – della Sicilia e dell’intero Paese.

Quella di oggi – manifestazione contrassegnata da qualche incidente – è solo l’inizio di una stagione di lotte sociali che sono il risultato di tante scelte sbagliate. (a sinistra, foto tratta dalla gazettadelsud.it)

Alla base di tutto c’è la demenziale politica del ‘rigore’ imposta all’Unione europea da una Germania che non avrebbe mai dovuto riunificarsi.

La verità è che, dalla caduta del Muro di Berlino in poi, i tedeschi si sono rafforzati, mentre l’Unione europea – nata come Europa dei popoli – si è trasformata nell’Europa delle banche e della finanza.  Con la Germania che detta legge.

La crisi ‘pilotata’ da chi oggi controlla l’Unione europea e tiene sotto scacco alcuni Paesi – Grecia, Italia e Spagna e Portogallo – con il gioco perverso del debito pubblico ha drasticamente ridotto la democrazia.

L’Italia, grazie anche a un Parlamento di ‘nominati’ (leggere Porcellum), ha snaturato la propria Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio. Il tutto mentre è per ora in corso il cambiamento in peggio della nostra Carta fondamentale. Di male in peggio.

Tutto questo avviene con ‘naturalezza. Nel suo ultimo libro Sangue Sesso e Soldi – Giampaolo Pansa rievoca la ‘naturalezza’ con la quale, negli anni ’30 del secolo passato, l’Italia accettava e metteva in atto le leggi razziali volute dai tedeschi. Non un ripensamento. Niente riflessioni morali. Solo acquiescenza verso il più forte.

La stessa cosa sta avvenendo oggi con lo snaturamento della Costituzione del 1948. Con la stessa ‘naturalezza’ con la quale, negli anni ’30, il nostro Paese accettava di perseguitare gli ebrei che non avevano fatto nulla di male, oggi l’Italia cambia la Costituzione. Nessun ripensamento ieri, nessun ripensamento oggi. Ancora acquiescenza verso il più forte. Che, come negli anni ’30 del secolo passato, è sempre la Germania. 

Per obbedire ai dicktat dell’Unione europea, si sa, bisogna stringere la cinghia. Ed ecco la legge di stabilità del Governo Letta-Alfano: una legge, ricordiamolo, che il nostro Paese, sulla base di un altro trattato internazionale – il Two Pack – non controlla più.

La legge di stabilità, per la cronaca, ha preso il posto di Bilancio dello Stato e Finanziaria. In base al Two Pack è Bruxelles che pronuncia l’ultima parola sui conti pubblici del nostro Paese, non più il nostro Parlamento, per giunta di ‘nominati’.

Siamo, come si può notare, al dissolvimento della democrazia. Iniziato con Tangentopoli – esplosa dopo la caduta del Muro di Berlino – la crisi italiana non si è più fermata.

L’entrata nell’euro – fase storica gestita per l’Italia da una classe politica raffazzonata – ha provocato disastri su disastri. La crisi finanziaria del 2008 ha fatto il resto.

Oggi l’Italia, più che protagonista dell’Unione europea dei popoli, sembra prigioniera dell’Unione europea delle banche e della finanza senza volto. Dietro la quale ci potrebbe essere – e forse c’è – di tutto. Anche quei poteri occulti e quelle “menti raffinatissime” che valenti uomini e donne del nostro Paese hanno combattuto, rimettendoci la vita.

La crisi dell’Italia – con lo sciopero di oggi contro un Governo nazionale Letta-Alfano che in forza del Two Pack non ha più molta voce in capitolo – è diventata insostenibile. Per le famiglie e per le imprese.

Il Sud, si sa, va sempre più indietro. Ma nei guai, oggi, è anche il Nord Italia, diventato quello che il Mezzogiorno d’Italia diventò all’indomani del 1860. Allora il Meridione – che non era in proporzione, economicamente arretrato – diventò la periferia di quello che, con il ‘Decollo industriale’ di epoca giolittiana, sarebbe diventato il ‘triangolo industriale.

Ebbene, oggi il Nord Italia, grazie all’euro e alla Germania, è diventato la periferia della Mitteleuropa.

Chi scrive vive a Milano ed è proprio da questa città che si misura la crisi di un intero territorio le cui potenzialità economiche, ancora intatte, vengono bloccate dalla gestione della moneta unica.

Da Milano – leggendo i giornali, soprattutto quelli on line – appaiono anche chiare le ragioni del malessere della Sicilia, abbandonata dalla spesa pubblica.

Cresciuta nel clientelismo politico esasperato, con un sistema produttivo fragile, legato a doppio filo alla spesa pubblica, per lo più improduttiva, la Sicilia si ritrova oggi con paurosi ‘buchi’ di bilancio, a fronte di uno Stato centrale a propria volta massacrato dal Fiscal Compact e dal Two Pak. E, di conseguenza, ormai non più in condizione di sostenere la Sicilia.

In un articolo che pubblicate oggi scrivete che nel 2014, cioè il prossimo anno, lo Stato si prenderà dalle ‘casse’ della Regione 800 milioni di euro. E’, la vostra, una stima ampiamente in difetto.

State, infatti, calcolando i soldi che lo Stato tratterrà dalla Regione a valere, per lo più, dalle entrate Irpef. Ma non avete messo nel conto le mancate entrate per i Comuni della vostra Isola. Soldi che lo Stato si tratterrà, in funzione, anche, di una legge sul federalismo fiscale in Sicilia ancora non applicata. 

A questa mancate entrate dovete aggiungere, poi, i tagli ai trasferimenti alle Province. E una riduzione dei fondi – di cui nessuno parla – per le cosiddette politiche attive per il lavoro. Per non parlare dei tagli ai fondi per la Cassa integrazione.

Da Milano apprezziamo la chiarezza che, con il vostro giornale, state cercando di portare nel mondo del precariato. E ci interroghiamo, non senza amara ironia, sulle promesse che, ancora oggi, i governanti siciliani regalano ai precari della Sicilia.

In questo scenario, lo ripetiamo, i disordini di oggi a Palermo sono i prodromi di una rivolta sociale che è ormai nelle cose. Facilitata, anche, da un Governo regionale che, visto dall’esterno – con l’occhio rivolto a tutte le ‘variabili’ di un sistema Italia in crisi – sembra non governi alcunché.

A fronte dei prossimi tagli che colpiranno la sanità pubblica italiana, lo dobbiamo dire, siamo rimasti sbigottiti nell’apprendere certi particolari di questo ‘caso Humanitas’.

Vista dal di centro – cioè dalla Sicilia – questa vicenda di cattiva amministrazione della cosa pubblica in materia di sanità può anche essere assimilata tra le solite cose del Sud. Ma, vi assicuriamo, vista da fuori, alla luce di quello che sta succedendo nel nostro Paese, questa storia potrebbe essere la spia di qualcosa di diverso, molto più grave di quanto in Sicilia non sembri.

Redazione

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