«Ignazio, quella cartella esattoriale te l’hanno annullata?». «No, magari!». Ignazio Cutrò, imprenditore che si è ribellato al racket testimoniando contro i suoi estorsori, ride al telefono. Una risata schietta, che scaturisce da una coscienza pulita. Il 23 dicembre scorso la Serit gli ha intimato il pagamento di 85mila euro, pena l’ipoteca dei suoi beni. Ma lui di questi soldi non dovrebbe pagare nemmeno un centesimo in quanto testimone di giustizia e dunque tutelato dallo Stato. Ma qualcosa è andato storto, l’Inps e l’Inail non hanno riconosciuto la sospensione ordinata dal prefetto, il tempo è passato e le banche hanno avanzato nuovamente le richieste di pagamento.
«La cosa è stranissima, è una situazione anomala. Dal 2009 l’intero procedimento andava bloccato» spiega l’imprenditore edile originario di Bivona, provincia di Agrigento. Di risposte da parte delle istituzioni non c’è traccia: «Nessuno si è alzato dalla poltrona per dire se ho detto la verità o solo frottole. E’ la cosa che mi fa più rabbia».
«A prescindere dal fatto che io abbia o no i soldi per pagare quell’importo, mi devono dire se sono vittima o no. Se sono un testimone di giustizia oppure no» afferma l’uomo. «In questo momento mi stanno togliendo tutto, senza però darmi nulla». Ignazio Cutrò fa un ragionamento semplice, che sta alla base della sua scelta di restare nella sua terra, unico caso in Italia: «Se vai via, chi ti sta schiacciando prende il tuo posto». Ed è la famiglia il sostegno che in un caso del genere fa la differenza: «Siamo più compatti e arrabbiati di prima – spiega l’uomo – . Non abbiamo fatto nulla di eroico o di anormale» chiarisce poi.
«Sia la magistratura che le forze dell’ordine non hanno problemi; è lo Stato politico che non sta funzionando, che mi sta rovinando la vita». Qualche parlamentare e qualche politico – come Sonia Alfano e Beppe Lumia – gli sono stati vicini, ma non è sufficiente. «Dopo il sei gennaio pianterò una tenda e inizierò lo sciopero della fame» annuncia l’imprenditore. «O lo Stato mi risponde o mi lascerò morire e a quel punto la colpa sarà solo loro».
Risposte. Questo chiede Ignazio Cutrò. Anche in vista dell’invio di una nuova cartella esattoriale: «Dovrebbe arrivare a breve, sarà all’incirca dello stesso importo» spiega. «Ho perso la mia libertà per difendere la mia azienda, ho perso tutto. Avevo ottenuto delle commesse, ma non posso lavorare». Quando parla di questa immobilità, tutta la frustrazione dell’imprenditore emerge con una vibrante nota di amarezza. «Non si possono nascondere dietro le gonnelle della burocrazia».
Di colloqui l’uomo ne ha sostenuti parecchi. Commissioni, prefetti, autorità varie. «Adesso voglio parlare solo con il ministro degli Interni o il sottosegretario. Ad altri non dirò nulla». Anche in questo caso, la motivazione dell’ostinazione di Cutrò è semplice: «Si deve spianare la strada per quanti vogliono testimoniare. Non bisogna creare loro ulteriori difficoltà». Il rischio che i costi superino i benefici è molto alto. A discapito di chi lotta per la legalità.
«Rifarei le stesse scelte che mi hanno portato fin qui. E la dimostrazione è la decisione di inaugurare il 27 gennaio uno sportello antiracket a Enna». A quanti potrebbero pensare che pentimento e rimorsi stiano minando le certezze dell’uomo, la risposta arriva con una semplicità disarmante. «Per queste superchierie non mi fermo mica» conclude ostinato.
[Foto di stevendepolo]
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