Lo sport come strumento di inclusione sociale. È questo il principio su cui si fonda il progetto SportAbility in disability, un programma che coinvolgerà per l’intero anno scolastico otto bambini catanesi affetti da disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento, una forma di autismo caratterizzata da linguaggio fluente, ma carente sul piano pragmatico, e sviluppo cognitivo nella norma. «Se fare sport aiuta a stare insieme, a crescere e a confrontarsi – spiega la dottoressa Roberta Bottino, specializzata in neuropsicologia dei disturbi del neurosviluppo e coordinatrice del progetto -, perché questa attività non dovrebbe essere aperta a quei bambini per cui spesso relazionarsi con i coetanei può rappresentare una difficoltà?».
Per questo sono stati avviati a ottobre i primi corsi sportivi sperimentali che prevedono l’inserimento dei ragazzi, tutti tra i sette e i 17 anni, all’interno dei gruppi di arrampicata, aikido, calcio e basket dei centri di avviamento allo sport del Cus Catania. Ad affiancare gli istruttori nelle diverse attività saranno i tutor, esperti terapeuti dello sviluppo infantile, nella misura di un tutor ogni due bambini affetti da disturbo dello spettro autistico. La collaborazione dovrà essere, però, del tutto naturale agli occhi dei ragazzi. «L’obiettivo è proprio quello di favorire l’inclusione sociale di questi bambini», continua la dottoressa Bottino, «non dovrà essere percepita dai ragazzi alcuna divisione, ma tutti dovranno confrontarsi e giocare sullo stesso piano, in un contesto omogeneo».
Il programma, promosso dall’associazione Progetto Aita onlus in collaborazione con il Cus Catania, è un progetto pilota in Sicilia. «In passato altri ragazzi affetti dagli stessi disturbi hanno frequentato dei corsi all’interno dei centri di avviamento allo sport dell’ente universitario – racconta Orazio Cavallaro, istruttore di aikido al Cus Catania -, ma noi istruttori ci siamo spesso trovati in difficoltà perché non era previsto alcun tipo di assistenza a supporto delle attività sportive. I ragazzi si scontravano spesso con problemi di relazione e per loro non era semplice sperimentare il contatto fisico». Nonostante vanti un’esperienza quarantennale nell’ambito della formazione sportiva, Cavallaro chiarisce che proprio grazie alla collaborazione con gli psicologi gli istruttori stanno «avendo l’opportunità di conoscere gli strumenti che servano a favorire la coesione in un gruppo di persone».
Lorenzo, sei anni, è uno dei bambini che partecipa al progetto e ha scelto di frequentare il corso di basket. «È entusiasta – racconta Maria, mamma di Lorenzo –, ama molto la compagnia e affronta con audacia le nuove sfide». Come molti genitori, anche Maria ritiene sia fondamentale la presenza dei terapeuti sul campo. «Non perché mio figlio e gli altri bimbi non siano in grado di allenarsi, ma perché si distraggono più facilmente. I tutor li aiutano molto, ma con questi bambini c’è la possibilità di avere uno scambio – conclude Maria – Loro ti insegnano tanto, ti fanno vedere tutto sotto un’altra prospettiva».
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