Cuffaro, il partito Radicale e i diritti in carcere «I suoi Capodanni passati insieme a Pannella»

«Non è un caso che dalla Sala Gialla di Palazzo dei Normanni, Totò Cuffaro abbia parlato di pregiudizio e speranza, due concetti ricorrenti nel suo intervento. Non credo che sia un caso perché le parole sono importanti, con le parole si fanno le leggi, si giudica, si crea il pregiudizio». Non ha dubbi Donatella Corleo, storica esponente del Partito Radicale in Sicilia, che della battaglia per i diritti civili nelle carceri siciliane ha fatto il suo percorso di militanza politica, al fianco di Marco Pannella prima, di Rita Bernardini dopo. «Sono venuta ad ascoltare Cuffaro – ammette a margine del contestato convegno sulla genitorialità oltre le sbarre – in veste di osservatrice e ascoltatrice, invogliata proprio dagli attacchi giustizialisti a Cuffaro che, non dimentichiamo, il suo debito con la giustizia lo ha pagato».

Insomma, estinta la pena, non può restare il marchio a fuoco di Caino.
«No, non deve. E mi ha colpito che molti dei relatori abbiano parlato di speranza. Proprio insieme all’associazione Nessuno Tocchi Caino noi del Partito Radicale abbiamo promosso il docufilm Spes Contra Spem, che già dal titolo vuole andare nella stessa direzione, laica, cattolica, ispirata a Gandhi, di quel cambiamento che ciascuno di noi può incarnare. E che può, appunto, dare speranza. In quel docufilm gli attori sono tutti ergastolani ostativi. Persino a loro abbiamo voluto infondere il sentimento di speranza».

Che in quel caso, onestamente, è più difficile da sostenere.
«Vede, fuori, all’esterno, non si tiene in considerazione che anche il peggiore criminale viene cambiato dal carcere, perché è lì che si fa un percorso e che, come ha detto Cuffaro, si ridefinisce la propria scala di valori».

Dunque lei pensa che Cuffaro faccia bene a usare la sua popolarità per accendere i riflettori sui diritti civili oltre le sbarre.
«Cuffaro, comunque la si pensi, è un personaggio di dominio pubblico, a cui va assolutamente riconosciuto il merito di spendersi per questa causa. E le ripeto, mi ha molto colpita nel suo intervento questo racconto di come proprio in carcere abbia ridefinito la sua scala di valori. Certo, bisogna dire che Totò Cuffaro è un uomo sorretto da una grande fede».

E si torna a quel concetto di speranza di cui parlava prima.
«Il ricorso alla parola speranza è tipico di una certa spiritualità e ricorre spesso nel mondo cattolico. Eppura la prima persona che mi ha avvicinata alla parola speranza, e credo che anche lei facesse riferimento alla frase attribuita a San Paolo, è stata Rita Borsellino».

Niente di più distante da Salvatore Cuffaro.
«Credo che questa grande fede fosse l’unica cosa che li accomunava. Io l’ho incontrata nel 2006, durante un dibattito pubblico con Pannella. Alla fine mi presentai, non ricordo cosa le dissi. Lei mi guardò coi suoi occhi buoni e mi disse che non dovevo mai perdere la speranza. Io non credo di essermi presentata a lei come una disperata. Certo, ognuno di noi ha il proprio doloroso vissuto, ma non credo che fossi disperata, almeno non in quell’occasione. Eppure lei mi disse che non dovevo perdere la speranza».

Era il 2006 e lei incontrò Rita Borsellino, che proprio quell’anno sfidava alla presidenza della Regione Totò Cuffaro.
«Io nel 2006 ho fatto convintamente campagna elettorale per Rita Borsellino, contro Cuffaro, non sono mai stata una Cuffariana. Io con Cuffaro condivido l’iscrizione al Partito Radicale, che lui fa da diversi anni, e la battaglia per i diritti civili nelle carceri».

Cosa ha contribuito all’avvicinamento di Cuffaro al Partito Radicale?
«Uno dei pochi deputati che giravano le carceri era Marco Pannella, che non andava a Rebibbia per trovare Cuffaro, ma trovava anche lui. Poi essendoci questo rapporto dialettico, si è instaurato tra i due un legame di stima. E oggi io sono orgogliosa di avere un compagno di partito come Totò Cuffaro. Secondo me è un debito di riconoscenza per le battaglie di Marco Pannella. Credo che abbiano passato diversi Capodanni insieme, dietro le sbarre. Marco iniziava sempre così l’anno nuovo».

Certo, in tempi di codici etici qualcuno potrebbe storcere il naso per una tessera di partito nel portafogli di Cuffaro.
«Ma quale codice etico? Il nostro è un partito che non si presenta nemmeno alle elezioni, almeno non nel modo tradizionalmente inteso, è un partito transnazionale e transpartitico e poi chiunque può iscriversi al Partito Radicale. Noi non parliamo di eticità dello Stato, parliamo di temi sensibili che riguardano la società. Il partito radicale è quello che fai, non ci può essere un codice etico, ma non perché siamo degli immorali pervertiti, c’è una morale molto più forte, che va ben oltre un foglio di carta con qualche regola scritta sopra».

Cuffaro ha raccontato di un condannato a 26 anni di carcere che si è suicidato a pochi mesi dal ritorno dalla libertà. Emblematico, non trova?
«Il carcere ti svuota. Nel caso delle pene lunghissime lo svuotamento è ancora più evidente, ma anche pochi anni ti cambiano. E questo avviene perché i detenuti non vengono seguiti, perché nessuno si è accorto che quella persona non la andava a trovare nessuno. Dietro le sbarre, purtroppo, dall’ergastolano al ladro di mele, diventano dei numeri, perdono la loro identità e il loro nome, non c’è cura per la persona».

Miriam Di Peri

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