Cuba, Gennaio 1998. Con la forza della parola

Un messaggio scandito a gran voce, rivolto a tutto il Mondo:
“Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà! Aprite i confini degli Stati, i sistemi economici, quelli politici, i vasti campi della cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura!”
Per intendere senza equivoci il Pontificato di Giovanni Paolo II, occorre necessariamente considerare linea guida, il messaggio con cui inaugurò il suo Magistero.
E partendo proprio da quel lontano 22 Ottobre 1978, riesce facile inquadrare il significato dell’enorme numero di viaggi in Italia e all’estero compiuti da Karol Wojtyla. L’intento, quindi, è identico: sfidare le aberrazioni della Storia e rilanciare la dignità umana.
Iniziò a visitare quel lontano Messico che discriminava i ministri di qualsiasi culto religioso, che vietava qualsiasi dimostrazione pubblica della propria fede in nome di un’identità laica, sempre più spesso camuffata a vera e propria religione di Stato.
Visitò la Polonia e per nove giorni non urlò altro che il suo sdegno contro il comunismo, stimolando la crescita del movimento anti-governativo Solidarnosc e i dieci anni successivi, che videro sgretolare il sogno del socialismo reale in Europa.
Socialismo reale, presente e radicato in quel di Cuba dove Fidel Castro regna incontrastato da oltre quarant’anni.
E l’incontro tra Giovanni Paolo II e Castro, proprio a Cuba, tra il 21 e il 26 Gennaio del 1998, ha significato un passo importante nel Pontificato di Wojtyla.
Davanti un impassibile Castro, un milione di cubani esultanti, la gigantografia di Che Guevara, il Papa ammonì: “La Chiesa è con loro e il Papa abbraccia, con il cuore e con la sua parola di incoraggiamento, tutti coloro che subiscono l’ingiustizia”. Il messaggio era diretto ad un popolo violato della propria libertà, della propria personalità.  Ed era diretto a colui, che rendeva lo Stato un affare privato, un’enorme violazione della dignità umana.
“Lo Spirito del Signore mi ha mandato per proclamare ai prigionieri la liberazione, per rimettere in libertà gli oppressi”, ribadiva, facendo proprio il messaggio di Gesù, davanti ad un popolo inebriato da quella parola, da quella invocazione. E come nel 1979  in Polonia, gli oppressi dialogarono con il Papa, invocarono il suo conforto, la forza della sua iniziativa, scandendo il proprio sdegno: “Il Papa vive e ci vuole tutti liberi!”
La Celebrazione si concluse con  un ultimo ammonimento:
“È giunta l’ora di intraprendere i nuovi cammini che i tempi di rinnovamento in cui viviamo esigono”.
 Il viaggio, in uno degli ultimi bastioni comunisti, si trasformò nell’ennesimo trionfo; le lacrime dei cubani alle parole del Papa, nascondevano aneliti di libertà, speranze di vita.
Fidel Castro aveva puntato molto su quella visita per rilanciare la propria immagine; liberando una quarantina di dissidenti politici, sperava nell’aiuto del Papa, nella sua benevolenza, nel suo ringraziamento per quelle aperture. Ma Giovanni Paolo II con i suoi messaggi, si trasformò in un enorme cavallo di Troia.
Tuttavia, a differenza della Polonia, a causa della presenza costante di Castro, a Cuba mancava e manca tuttora un movimento di chiara ispirazione religiosa come Solidarnosc, in grado di combattere l’oppressione brandendo la parola del Papa.
Per cui, come testimonia il vescovo di La Havana cardinale Ortega, la visita del Papa non ha cambiato molto nella società cubana:
“Si sperava davvero che, seguendo l’appello del Papa, Cuba si aprisse al mondo e il mondo a Cuba. Non è stato così, e ora anziché speranza c’è desesperanza.
È successo che nell’estate del 1998, quindi alcuni mesi dopo la visita del Pontefice, è incominciata una campagna ideologica forte, con gli schemi di propaganda e mobilitazione tipici degli anni Sessanta, all’inizio della rivoluzione”. Castro, dopo sei anni dalla visita del Papa, continua a perpetrare le solite torture, gli arresti, le persecuzioni dei dissidenti. Le funzioni religiose vengono negate e i prigionieri politici rimangono in carcere.
Solo con la successione di Castro saremo in grado di giudicare completamente se la visita del Papa abbia davvero stimolato il popolo verso il, da tutti auspicato, cambiamento o sia stato solo un grido nel deserto di una roccaforte inespugnabile.

Riccardo Consoli

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