Crocetta, «l’accordo sciagurato» e il mutuo da 2 miliardi Con la sentenza della Consulta saremmo ricchi. Invece…

Quando siamo andati in rete con il nostro giornale abbiamo fatto un primo punto della situazione sui conti economici e finanziari della Regione siciliana. Oggi, alla luce delle novità non certo positive intervenute nell’ultimo mese, vi raccontiamo che cosa sta succedendo e che cosa potrebbe succedere nelle prossime settimane. 

La novità, sotto il profilo finanziario, è rappresentata dal disegno di legge, presentato dal governo di Rosario Crocetta, che indebiterebbe la Regione di altri 2 miliardi di euro. Come già anticipato, questo provvedimento viene accompagnato da troppe imprecisioni e forzature. 

Questo provvedimento, di fatto, non è accompagnato da una relazione tecnica. Cosa, questa, che viene certificata oggi dal Servizio Bilancio dell’Assemblea regionale siciliana che segnala, ad esempio, l’assenza di un piano di ammortamento. Si può presentare un disegno di legge che prevede l’accensione di un mutuo da 2 miliardi di euro senza un piano di ammortamento? Su questo avrebbe dovuto già intervenire la presidenza dell’Ars.

Di più: il Governo vorrebbe fare accendere alla Regione un mutuo da 2 miliardi di euro pur avendo accertato presunti debiti per circa un miliardo e 700 milioni di euro. Questo perché nemmeno i tecnici dell’assessorato al Bilancio sanno, in questo momento, come stanno le cose. E’ normale accendere un mutuo di circa 300 milioni di euro in più solo perché l’assessorato competente non è ancora riuscito a fare i conti? Anche su questo la presidenza dell’Ars non ha nulla da obiettare?

Il nuovo assessore al Bilancio, Alessandro Baccei, che ci presentano come economista, vorrebbe fare accendere questo mutuo alla Regione senza aver prima presentato il Dpef o Def, come si dovrebbe chiamare adesso: come fa a sostenere che nel 2016 e nel 2017 le maggiorazioni Irpef e Irap manterranno il gettito di 300 milioni di euro circa all’anno? A noi l’economia siciliana sembra ferma, le imprese chiudono a ritmo continuo, i redditi delle famiglie (e anche delle imprese) si riducono sotto i colpi delle tasse del Governo Renzi che aumentano di giorno in giorno. Per non parlare delle tasse locali ormai alle stelle (Tasi e Tarsu in testa).     

A conti fatti, è il caso di dirlo, questo mutuo si inserisce in uno scenario finanziario che definire disastroso è poco. Se osserviamo l’andamento del Bilancio regionale negli ultimi anni, ci accorgiamo che siamo in presenza di un disequilibrio strutturale. In parole più semplici, le entrate non coprono le spese a legislazione vigente. Se entriamo nel dettaglio, notiamo che ci sono delle spese quali operai della Forestale e precari che, in realtà, non sono altro che sostegno al reddito. Se mettiamo insieme queste due categorie – operai forestali e precari di Regione, Province e Comuni – arriviamo a una cifra di circa 80 mila unità, e forse qualcosa in più. 

Ora, il sostegno al reddito non è un fenomeno solo siciliano, ma è presente in tutte le Regioni italiane. Prendiamo come esempio la Lombardia, che viene sempre considerata una Regione virtuosa. In Lombardia il sostegno al reddito prende il nome di Cassa integrazione. Ed è sempre presente, ogni anno. Le differenze tra Lombardia e Sicilia sono due. In Lombardia la Cassa integrazione ruota tra i soggetti che perdono il lavoro. Ma alla fine la spesa – soprattutto negli ultimi anni – è sempre la stessa o è in aumento. In Sicilia, invece, il sostegno al reddito va a forestali e precari e, in minima parte, viene coperta dalla Cassa integrazione. 

A questa prima differenza se ne aggiunge un’altra ben più importante: in Lombardia il sostegno al reddito – cioè la Cassa integrazione – la paga lo Stato. In Sicilia il sostegno al reddito – forestali e precari – li paga la Regione. E la poca Cassa integrazione che arriva dallo Stato quest’anno è stata ridotta. 

Non solo. Rispetto al sostegno al reddito cambia anche la percezione. Nell’immaginario degli italiani gli operai del Centro Nord Italia in Cassa integrazione meritano grande rispetto. Mentre i precari e i forestali della Sicilia vanno regolarmente additati come fonte di sprechi. Eppure la Cassa integrazione pesa sui conti dello Stato – e quindi sulle tasche di tutti gli italiani – mentre i precari e i forestali siciliani li paga la Regione (cioè i contribuenti siciliani).

Certo, anche in Sicilia, come accennato, arriva un po’ di Cassa integrazione. Ma sarebbe interessante rapportare quanto, con la Cassa integrazione, lo Stato spende nelle Regioni del Centro Nord Italia e quanto spende in Sicilia. 

Questa breve digressione sul sostegno al reddito ci illumina su che cosa si basa la pretesa dello Stato di prendersi, ogni anno, un miliardo circa dal bilancio della Regione. Parliamo degli accantonamenti. Nel 2013 il Governo nazionale ha preso dal Bilancio regionale 915 milioni di euro. Quest’anno ha tolto dai conti della Regione un miliardo e 350 milioni di euro (compresi i 200 milioni di euro per gli 80 euro al mese ai titolari di redditi inferiori a mille e 500 euro al mese).

Sono due le scuse mediatiche che Roma adotta per prelevare le risorse dal Bilancio della Regione. La prima è che la nostra è una Regione a Statuto speciale e che molte delle imposte restano in Sicilia. La seconda l’abbiamo già illustrata: sarebbero gli sprechi su precari e forestali che, come abbiamo già accennato, non sono altro che pagamenti di sostegno al reddito che altrove paga lo Stato, ma che in Sicilia paga la Regione.

Che fare per fronteggiare questa difficile crisi finanziaria? L’ex assessore regionale al Bilancio, Franco Piro, un esponente storico della sinistra siciliana che ha una grande conoscenza dei problemi finanziari della Regione, ipotizza un piano straordinario e riforme strutturali.

«Il rigoroso piano di risanamento finanziario – dice Piro – non può fare a meno dell’attuazione del federalismo fiscale in Sicilia, a cominciare dall’applicazione dei costi standard e delle centrali uniche di spesa, nella Regione, negli enti locali e nelle Aziende sanitarie».

La Regione deve fare la propria parte. Ma anche lo Stato deve intervenire. O quanto meno non ostacolare ciò che è dovuto alla Regione. Il riferimento è, ad esempio, come dice Piro, «alla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha apertamente riconosciuto il diritto della Regione siciliana di riscuotere tutte le entrate legate alla sua capacità fiscale e non soltanto quelle riscosse effettivamente sul suo territorio come avviene tuttora».

«La differenza è enorme – aggiunge l’ex assessore regionale -. Da sempre la Regione rivendica tali entrate. Per fare un esempio, applicando il criterio fissato a luglio dalla Corte Costituzionale, alla Sicilia spetterebbero le ritenute Irpef operate dallo Stato e dagli altri Enti pubblici statali pari a circa 2,5 miliardi di euro all’anno. Allo stesso modo la Regione dovrebbe riscuotere gli interessi pagati da banche e poste per circa 220 milioni, l’imposta sulle assicurazioni per circa 104 milioni e l’ulteriore quota di Irpeg ed Ires pari a 218 milioni di euro».

Fine delle possibili entrate? No. Perché ci sarebbe anche l’Iva all’importazione, che vale più di 3,5 miliardi l’anno, e l’Iva commisurata ai consumi delle famiglie siciliane, ma versata altrove, pari a circa 4,9 miliardi.

«Come è noto, tuttavia – dice sempre Piro – lo sciagurato accordo sottoscritto a giugno dal governo Crocetta impedisce alla Sicilia (e fino al 2017) di attivarsi per vedersi riconosciuto dal governo nazionale quanto sancito dalla sentenza della Corte Costituzionale».

Viene da chiedersi: perché il presidente Crocetta, che dovrebbe fare gli interessi di oltre 5 milioni di siciliani, ha firmato un accordo «sciagurato»? E perché, adesso, dopo aver rinunciato a tutte queste entrate – proprio in forza di questo accordo sciagurato – vorrebbe indebitare le famiglie e le imprese siciliane per altri 2 miliardi di euro? 

Ormai questa sentenza della Corte Costituzionale favorevole alla Sicilia potrà essere applicata a partire dal 2017. In cambio dell’applicazione di questa sentenza la Regione potrebbe caricarsi i costi della pubblica istruzione (circa 4,9 miliardi di euro l’anno), dell’istruzione universitaria (730 milioni di euro) e le politiche assistenziali ( 230 milioni di euro).

La sanità – che ogni anno costa alla Sicilia circa 8 miliardi di euro (di questa somma la Regione paga già la metà) – potrebbe andare a totale carico della Regione. Consentendo alla nostra Isola di intercettare una quota delle accise sui prodotti petroliferi che, per il 40% del totale italiano, vengono lavorati in Sicilia. Applicando quanto previsto dalla legge Finanziaria nazionale del 2007. E quanto prevede anche la legge sul federalismo fiscale.

Tutto questo, lo ribadiamo, si potrà fare a cominciare dal 2017. Per quest’anno non si capisce come finirà. A meno che il mutuo finanziariamente illogico da 2 miliardi di euro non sia un pedaggio (che in Sicilia chiameremmo in altro modo…) che la Regione deve pagare, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale di cui parla Piro.  

Giulio Ambrosetti

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