Pil, disoccupazione, crescita demografica, investimenti, consumi e produzione. Sono questi i fattori di crescita e di decrescita analizzati e rielaborati in un documento per tracciare l’identikit socio-economico di Catania. Il quadro che emerge dal report presentato ieri mattina alla Camera del lavoro etnea è «preoccupante» da una parte per i dati costantemente in calo su crescita e occupazione giovanile e dall’altra per l’incremento della povertà delle famiglie e del numero dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Secondo Giuseppe Citarrella, responsabile Cerdfos, il centro studi della Cgil, e tra i curatori del report, «il dramma occupazionale è notevole: su 332mila posti di lavoro persi in Italia, nel periodo tra il 2008 e il 2016, 126mila sono stati registrati soltanto in Sicilia». Dei quali 15.419 nel Catanese.
Secondo l’elaborazione Cgil, il Pil siciliano è diminuito notevolmente e, anche se si è registrata una ripresa nel 2015, ci sono comunque 13 punti in meno rispetto al 2008. «Abbiamo avuto un collasso degli investimenti e una diminuzione dei consumi che hanno impoverito il sistema e aumentato la dipendenza da importazione di beni e servizi della nostra regione – aggiunge -. Il sistema produttivo è in caduta libera, con una perdita di 17mila occupati nel settore delle costruzioni, quello maggiormente in crisi». Nella provincia di Catania il tasso di disoccupazione, nel 2016, è del 18,5 per cento, con un’incidenza del 20,3 per cento tra le donne e del 17,5 per cento tra gli uomini.
I dati parlano chiaro e Citarella ritiene che il governo regionale non sia stato capace di elaborare politiche in grado di sostenere la Sicilia. A preoccupare sarebbero anche le cifre sul tasso di attività: «Nella partecipazione attiva al mercato del lavoro – spiega – a Catania siamo sotto di oltre 16 punti rispetto alla media nazionale e ciò denota una carenza di politiche del lavoro adatte». Considerando le persone che partecipano attivamente al mercato del lavoro – includendo anche una percentuale di lavoro occasionale o in nero – la percentuale tra gli uomini catanesi è del 62,9 per cento, tra le donne del 35 per cento. Cifre che scendono di molto considerando l’occupazione regolare: rispettivamente 51,7 per cento e 27,9 per cento.
Secondo Roberto Foderà dell’Istat, che insieme a Inps, Infocamere e Istituto Tagliacarne ha fornito i dati necessari alla realizzazione dello studio, ciò che emerge «non è nulla di nuovo o di sconvolgente, ma è importante raccogliere dati statistici il più precisi possibile». E nonostante i numeri denotino un aumento della popolazione e, nel capoluogo etneo, una presenza di giovani lievemente maggiore rispetto alla media nazionale, la crescita sarebbe da riferire più alle migrazioni. «Si pone un concreto problema demografico – precisa Foderà -. Mentre i giovanissimi da zero a 14 anni diminuiscono così come gli occupati, la popolazione più anziana, quella che quindi esce dal mercato del lavoro, aumenta. Qualcosa nel mercato del lavoro ha smesso di funzionare e da qui al 2065 le previsioni non sono rosee».
C’è da considerare che i dati sul tasso di occupazione tendono a includere tutti coloro che sono impegnati in un’attività lavorativa, a prescindere dalla presenza di un contratto o dal tipo di inquadramento e dal reddito. «Dunque viene considerato anche chi lavora in nero», sottolinea Foderà. Attraverso un confronto tra i redditi dichiarati all’Irpef e i consumi registrati dall’Istat, emerge una discrepanza che sarebbe un chiaro segnale del fenomeno dell’evasione fiscale che a Catania è comunque inferiore rispetto alla media della Sicilia ma superiore a quella nazionale. Tuttavia ci sono anche alcuni punti di forza sui quali fare leva. «L’impresa alimentare – fa notare Foderà -, in controtendenza, è un settore forte sul quale puntare, insieme al commercio con l’estero nel settore chimico e alimentare. Inoltre, Catania mostra una propensione alle esportazioni non petrolifere, contrariamente alle altre province dell’Isola». Timidi segnali positivi anche dall’agricoltura e dai servizi, stabile la prima e aumentati del cinque per cento i secondi, mentre soffrono le costruzioni che calano dal nove per cento del 2008 al cinque per cento dello scorso anno.
Nelle riflessioni conclusive Michele Pagliaro, segretario generale di Cgil Sicilia, sottolinea come un lavoro del genere serva ad «aggregare i dati e capire la situazione attuale – dichiara -. Non siamo noi i fautori dello sviluppo, ma serve una visione d’insieme per contribuire con proposte attive e chiedere la formulazione di adeguate politiche di sviluppo. Giusto puntare all’aumento dell’occupazione ma che sia una buona occupazione – precisa Pagliaro – che non svalorizzi il lavoro, come sta già accadendo, con il rischio di non garantire un ritorno economico effettivo alle persone». E sul futuro aggiunge che «programmare lo sviluppo non è facile ma bisogna evitare di ripetere certi errori come Garanzia giovani e la sproporzione tra i tantissimi tirocinanti impegnati nel programma e quelli che hanno poi effettivamente ottenuto un contratto di lavoro in seguito. Il Jobs act non ha funzionato – conclude – e nemmeno i finanziamenti a pioggia alle imprese, mentre emerge con chiarezza come in Sicilia quasi una famiglia su due sia vicina alla soglia di povertà e vada in crisi con l’arrivo di una bolletta più alta o di altri imprevisti finanziari».
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