Crac Sigenco, sequestro milionario di cinque immobili Ipotesi bancarotta dietro fine del colosso dell’edilizia

Cinque immobili sequestrati per un valore complessivo di tre milioni di euro. Sono quelli finiti sotto la lente d’ingrandimento della guardia di finanza di Catania nell’ambito dell’inchiesta sul fallimento della società Sigenco. Il colosso delle costruzioni, andato in pensione anticipata nel 2013 con un passivo di 80 milioni di euro, è stato fondato nel 1998 dall’avvocato Santo Campione. Erede della dinastia imprenditoriale del cavaliere del lavoro Mario Rendo, Campione è caduto in disgrazia dopo essere stato travolto dalle inchieste giudiziarie e poi tragicamente deceduto nell’estate 2015, mentre si trovava in un terreno di famiglia, nelle campagne di Paternò. I titoli di coda nella storia di Sigenco arrivano dopo la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo. Già nel 2014 i militari delle fiamme gialle avevano effettuato un primo sequestro di beni per un valore di tre milioni e quattrocentomila euro.

Secondo l’odierna ipotesi investigativa, sarebbero stati accertati nuovi e numerosi casi di «distrazione e dissipazione di risorse finanziarie». Soldi che, almeno sulla carta, Sigenco avrebbe dovuto utilizzare per soddisfare le pretese dei creditori. In realtà, stando alle accuse, il denaro finiva nei conti correnti dei congiunti di Campione o di altre aziende sempre appartenenti alla sua galassia imprenditoriale. In questo filone sono finiti sott’inchiesta la moglie dell’avvocato, Rosaria Arena, e un suo fedelissimo, Raffaele Partescano. Quest’ultimo è accusato di bancarotta fraudolenta nella qualità di amministratore della Fortuna srl. Attiva nella gestione di alberghi, ristoranti e bar, fondata nel 2014 dai figli di Campione. I finanzieri contestano una transazione «senza una valida giustificazione» a beneficio di quest’ultima società per una somma di due milioni di euro. Poi utilizzati tra il 2006 e il 2012 per acquistare quattro immobili, di cui uno adibito ad abitazione, ricadenti nel territorio del Comune di Catania. 

A concorrere nella presunta bancarotta fraudolenta sarebbe stata anche la moglie dell’imprenditore. La donna, nella qualità di socia di una controllata della Sigenco, avrebbe beneficiato di un versamento da tre milioni di euro a titolo di corrispettivo per la vendita di un terreno. Operazione commerciale bollata dagli investigatori come «non funzionale all’attività d’impresa e a condizioni economiche del tutto fuori mercato». Arena poi avrebbe utilizzato la cifra per comperare una villa a Sant’Agata li Battiati

In occasione del sequestro del 2014, rientrato nell’operazione White knight, erano venute fuori altre operazione ritenute sospette e segnalate agli inquirenti dalla Banca d’Italia. In particolare due trasferimenti di denaro, a novembre e dicembre 2012, erano stati conclusi poco prima e subito dopo la richiesta di concordato preventivo. Ultimo beneficiario, il figlio dell’imprenditore Pietro Campione. In quell’occasione la procura ipotizzava i reati di bancarotta fraudolenta, truffa e falso. Adesso, secondo quanto accertato da MeridioNews, il filone investigativo è arrivato a un punto d’arrivo con la notifica agli indagati degli avvisi di conclusione indagine. Tra i coinvolti ci sarebbero anche cinque ex componenti del consiglio d’amministrazione.

Prima del tracollo, Sigenco si era occupata di appalti in tutta Italia. Anche in questo caso con fortune alterne. A Catania, per esempio, l’azienda di Campione era quella capofila del consorzio Uniter. Vincitrice dell’appalto, insieme a Cogip, per la realizzazione di due tratte della metropolitana. Dai cantieri però si è poi passati alle aule di giustizia con l’avvocato diventato imprenditore finito sul banco degli imputati per i reati di truffa e frode. C’è poi la costruzione della Torre biologica dell’università di Catania, ultimata da un’altra ditta dopo il fallimento di Sigenco. Ma anche l’aeroporto di Lampedusa, l’autostrada Agrigento-Santo Stefano di Camastra, l’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta e il parcheggio sotterraneo del nosocomio San Martino di Genova.

Dario De Luca

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