Una fotografia sovraesposta, dove sono fin troppo chiare le difficoltà economiche di una terra abituata a stare in fondo alle classifiche della vivibilità, specialmente quando di mezzo c’è la ricchezza. Appaiono così le decine allegate al decreto interministeriale con cui il governo nazionale ha stabilito come distribuire le risorse stanziate nella finanziaria per aiutare i Comuni a fronteggiare la crisi dettata dalle minori entrate legate al Covid. Una misura che nel 2021 è stata incrementata di altro mezzo miliardo rispetto agli oltre quattro messi sul tavolo da Roma l’anno scorso. A beneficiarne saranno gli oltre ottomilia enti locali e anche le ex Province. Tante le previsioni di entrata prese in esame per stabilire le somme da assegnare: dall’Imu all’addizionale Irpef, dalla Tosap alle imposte sulla pubblicità, dai servizi energetici a quelli riguardanti gli asili e le scuole. E poi ancora servizi sociali, multe, concessioni e fitti, mentre non è stato tenuto conto della tassa di soggiorno e della Tari, la tassa sui rifiuti.
Dai dati emerge che la Sicilia sarà tra le regioni a cui andranno meno risorse. Una situazione che si era già registrata l’anno scorso, ma che – stando alla ripartizione del primo acconto da duecento milioni di euro – potrebbe addirittura peggiorare nel 2021. In realtà il dato aggregato su base regionale nel decreto non esiste, ma c’è chi ha deciso di accorpare le somme che spettano ai quasi quattrocento enti locali siciliani. «Ho deciso di elaborare le tabelle ministeriali, dopo che dagli uffici mi è stato detto che le somme che riceveremo da Roma sembrerebbero essere inferiori rispetto a quello che ci aspettavamo». A parlare è Stefano Alì, sindaco di Acireale, in provincia di Catania, e di professione ingegnere. Con le tabelle è abituato a lavorarci. «Non è stato un lavoro complicato, molto di più lo è la gestione amministrativa di quello che è venuto fuori». Dai calcoli effettuati dal primo cittadino risulta che a fronte del 5,65 per cento del fondo nazionale assegnato alla Sicilia nel 2020, la parte che tocca all’isola tenendo conto del primo acconto è di appena il 3,34 per cento. Una flessione di 2,3 punti, che segna per la regione un primato negativo.
L’anno passato è stato poco meno di 238 milioni di euro il contributo statale andato ai Comuni siciliani. In testa c’è stata la Lombardia, che ha assorbito il 20,85 per cento del fondo; dato che, facendo riferimento all’acconto 2021, salirà oltre il 24. Dopo ci sono il Lazio (dal 9,79 al 12,07), il Veneto (dall’8,93 al 10,63), l’Emilia Romagna (dal 7,94 all’8,26). La prima regione del Sud è la Campania, a cui è spettato il 7,51 per cento delle somme erogate nel 2020, mentre per quanto riguarda l’acconto 2021 si è dovuta accontentare del 5,47. «Per noi amministratori del Meridione, le difficoltà causate dal Covid sono ancora più gravose – sostiene Alì -. Già in periodi normali dobbiamo fare i salti mortali per garantire servizi che altrove non vengono messi in discussione». Per il primo cittadino acese, le valutazioni fatte dal governo centrale avrebbero dovuto tenere conto anche della capacità di ripresa di un territorio sfavorito rispetto a uno più dinamico. «Per le regioni più ricche la ripartenza sarà più semplice, in Sicilia invece rischiamo di rimanere ancora più impantanati», agigunge Alì. Che, insieme ai sindaci del comprensorio Acese, ha dovuto pagare un duplice dazio. «Le somme calcolate dal governo fanno leva su dati del 2019, un anno in cui – conclude – parte dei tributi da noi erano già stati sospesi per andare incontro alle difficoltà seguite al terremo di santo Stefano del 2018».
Un altro spunto di riflessione arriva poi dalla considerazione del numero di abitanti che risiede in ogni regione. Nella classifica delle quote pro-capite, la Sicilia è all’ultimo posto in classifica sia nella ripartizione del 2020 che in quella riguardante il primo acconto 2021. Nel primo caso, a fronte di una media ipotetica di 70,78 euro, che equipara tutti gli italiani indipendentemente dal luogo in cui vivono, a ogni siciliano è stata assegnata la somma di 48,79 euro. A stare sopra la media sono le regioni del Nord: Trentino Alto Adige (127,23 euro), Valle d’Aosta (113,51), Toscana (88,51), Lombardia (87,73), Veneto (77,26), Emilia Romagna (75,05), Lazio (71,80).
Tuttavia se gli amministratori locali fanno i conti con le cifre concordate dai ministeri dell’Economia e degli Interni, chiedendosi come fare quadrare le poste in bilancio, gli stessi numeri non destano scalpore a Carlo Amenta, docente di Economia e gestione delle imprese all’Università di Palermo. «Parliamo di un ristoro che non è legato alla povertà, ma al mancato gettito e questo è inevitabilmente legato al Pil della Regione – commenta Amenta a MeridioNews -. Essendo una regione povera, è normale che la somma che spetta alla Sicilia sia tra le più basse». In tal senso per il docente ha poco senso anche ragionare sulla capacità di riscossione limitata che si registra spesso al Sud: «L’evasione è un problema, ma che c’era prima e che c’è adesso. Il punto è che non ci troviamo davanti a un’iniziativa perequativa, in cui si punta a ridurre il distacco tra Nord e Sud, ma a una fotografia – conclude – di quella che era la situazione precedente al Covid».
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