«Molti si chiedono “come e quando?“, altri si chiedono “in che condizioni?“». Lo sa bene Giovanni Felice, presidente di Confimprese Palermo, che fa i conti con questi interrogativi ormai da tempo. Cosa accadrà nella famosa fase due? E, soprattutto, quando e come si ricomincerà? Domande che, per il momento, accomunano numerose categorie di lavoratori, a Palermo come altrove. E tra questi, in prima fila, ci sono commercianti e ambulanti. «Il tema sta appassionando tutti – dice il presidente Felice -, ma dobbiamo diffidare dai programmi di apertura più o meno edulcorati del momento, perché ancora c’è una discussione che va affrontata. Aspettiamo l’ennesimo Dpcm per poi potere prendere delle decisioni e agire». Ma va detta, insiste il presidente, che dopo un’iniziale fase di sbandamento, i palermitani hanno comunque reagito bene a disposizioni e divieti. E adesso che la parte critica sembra superata, occorre necessariamente pensare al futuro più prossimo.
«Credo che il vero problema sia che si sta ancora una volta affrontando una situazione drammatica e straordinaria con criteri ordinari, i criteri di assegnamento di un credito sono rimasti tali e quali a quelli di una volta, come se il coronavirus non ci fosse mai stato – denuncia Felice -. Ci vuole un mondo nuovo che parta dalla politica, dalla burocrazia e da tutti gli enti coinvolti, i settori colpiti si conoscono dal principio, perché non si è intervenuti direttamente? Così come per le partite Iva. E non parliamo della farsa dei finanziamenti di liquidità. Si era detto 25mila euro a tutti senza garanzie o altro: se dai la garanzia ma non intervieni sulle procedure delle banche per l’erogazione del finanziamento, sai perfettamente che tutte le micro imprese non avranno un euro, per questi tipi di finanziamenti non c’era bisogno del merito creditizio». Di fronte a richieste ed esigenze che oggi si sono centuplicate, in un momento in cui sono importanti le ore e non i mesi, «un finanziamento o un prestito o un contributo a fondo perduto o un sussidio che arriva con un giorno di ritardo getta nella disperazione intere famiglie e siamo di fronte a un’Inps che non riesce a erogare pratiche presentate un mese fa».
A sentire il presidente Felice, insomma, le parole non bastano. Non più almeno. Adesso più che mai servono i fatti. «La prima attività che il governo dovrebbe fare è quella di monitorare quello che sta accadendo, non basta fare la legge e passare la palla – spiega infatti -. Si è detto che la mafia aspetta i finanziamenti, che la mafia entrerà anche in questi meccanismi e che per combattere servirà fare più verifiche. Secondo me non si è capito niente: a essere più a rischio usura sono le micro imprese, quelle che chiedono piccoli prestiti, se si vuole combattere l’usura la soluzione è intervenire subito e mettere immediatamente in giro risorse a favore di queste realtà più piccole». Specie a fronte dell’imminente riapertura, almeno per alcune attività. Che se non sarà il 4 maggio, potrebbe spostarsi di poco all’11. «Ci stiamo davvero preparando a sostenere le aziende che partiranno in ritardo? – domanda Felice -. Per la maggior parte le casse integrazioni finiscono il 9, se la chiusura si protrarrà qualcuno ha pensato che bisognerà ripartire da lì? Ancora oggi nessuno dei dipendenti qui ha visto un euro, perciò rischiamo di procrastinare la riapertura, quindi il rientro a lavoro, per persone che continuerebbero a essere senza soldi».
Un passaggio, questo, che preoccupa non poco il presidente e tutti i commercianti a cui in questi giorni sta cercando di dare risposte. «Pare che dal 4 maggio non serviranno più le autocertificazioni, però si obbligano le mascherine che costano e che non si trovano facilmente quindi ci sarà comunque chi non potrà uscire – osserva ancora -. Tutto questo comporterà anche nuove spese per le aziende, pensiamo al dover sanificare continuamente locali e prodotti, pensiamo a quanto inciderà sulle piccole imprese. Se si vogliono salvare i posti di lavoro occorre intervenire sui costi del lavoro, milioni di persone resteranno disoccupate perché quando in un’attività commerciale serviranno massimo due persone, significherà che lì ci starà il titolare e i dipendenti verranno licenziati, e ci sarà il problema di mantenerli attraverso disoccupazione e sussidi. Lo Stato deve assumere coerenza e intervenire su questi punti, se no diventa una guerra tra poveri che vedrà milioni di persone nella disperazione».
E a proposito di ripartenza, molto poca, ancora oggi, la chiarezza rispetto alla posizione degli ambulanti: «Qualcuno mi spiega la differenza tra l’ingresso al mercatino, dove ci saranno cento baracche, e quello di una strada ad alta densità commerciale? – insiste Felice -. Nel Meridione la strada commerciale è l’equivalente del mercato. Tutti i Comuni devono interrogarsi ed essere pronti a fare funzionare i mercatini, quando aprirà l’abbigliamento nel piccolo negozio è giusto che apra anche l’abbigliamento ambulante e quello del mercatino, perché una disparità di mercati in un periodo così difficile accelererebbe solo la desertificazione del territorio e un cambio di costumi a favore delle grandi multinazionali e del commercio online. Se si vuole che l’epidemia da Covid diventi un’epidemia di licenziamenti lo si dica subito – dice senza troppi giri il presidente -, ma se non è questa l’intenzione ci si apra occhi e mente per pensare a provvedimenti straordinari, altrimenti non avremo alcuna chance. La politica non deve solo ascoltare i tecnici, deve programmare, immaginare un futuro e trasmettere fiducia e voglia di andare avanti, cose che in questo momento non ci sono, bisogna cominciare a dare a tutti segnali chiari di supporto e di logica».
Accorato, insomma, il suo appello alla politica perché discuta della posizione da assumere per ogni settore e attività, in modo da pensare a delle soluzioni da applicare nell’immediato futuro senza lasciare indietro nessuno. «Lo Stato dovrà essere il primo a pensare a come il nuovo potrà essere sostenibile e fattibile, spero che nel prossimo decreto ci sarà maggiore connessione tra ciò che si dice e ciò che va fatto – auspica Felice -. Nessuno può fare finta di niente, nessuno deve tirarsi indietro, il Comune non va lasciato fallire ma non si può neppure lasciare che questo si rifaccia sui più deboli. Se tutto andrà bene, cominceremo a vedere le cifre dell’anno scorso solo a dicembre. Qui deve nascere un grande patto sociale, posticipando le tasse dovute, pensando a periodi forfettizzati, se no ci prendiamo tutti in giro. L’economia è al collasso, serve un’iniezione di liquidità alle famiglie».
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