Covid-19, avvocati chiedono di tornare nelle aule «Servono risorse per garantire sicurezza e diritti»

Circa il 70 per cento delle udienze civili andate in fumo, il processo tributario praticamente paralizzato e un arretrato preoccupante nel diritto amministrativo. Senza considerare i procedimenti penali in cui, per le udienze in videoconferenza, sono disponibili solo tre aule su tredici. Dopo il flash mob organizzato dagli avvocati lo scorso 3 giugno in piazza Verga, anche il Consiglio dell’ordine degli avvocati (Coa) si è riunito nella propria biblioteca all’interno del Palazzo di giustizia, per fare luce sullo stato di «assoluta paralisi del sistema giustizia». Al centro delle richieste rivolte al governo nazionale c’è la previsione di un piano straordinario per la messa in sicurezza delle attività e degli uffici giudiziari. 

«Gli ultimi tre mesi sono stati caratterizzati da uno stato di immobilismo della giustizia – spiega il presidente Rosario Pizzino -, dovuta da un lato alla crisi pandemica che ha colpito il Paese e dall’altro alle misure di contenimento che sono state imposte anche alle attività esercitate dagli uffici giudiziari». Seduti, accanto a lui, ci sono il presidente della Camera penale Serafino Famà Salvatore Liotta, il presidente della Camera civile Giovanni Perrotta, il delegato distrettuale dell’Organismo congressuale forense Alberto Giaconia e il vicepresidente dell’Unione degli ordini forensi siciliani Antonino Di Stefano. Gli avvocati catanesi puntano il dito contro il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia. «Questa conferenza – prosegue Pizzino – vuole mandare un messaggio chiaro a Conte e al ministro Bonafede affinché si consenta la continuazione delle attività giudiziarie in modo uniforme su tutto il territorio nazionale». 

A dire del Coa, i decreti governativi che si sono susseguiti sono stati altalenanti e poco appropriati alle modalità di svolgimento delle udienze. «È impensabile che il processo civile si svolga solo da remoto – sostiene Giaconia – I cittadini e gli avvocati hanno la necessità di essere presenti in aula, invece i piani di investimento governativi puntano sull’allontanamento dei cittadini dalle aule giudiziarie». Per questo giuristi e istituzioni chiedono «un immediato stanziamento di risorse adeguate per la messa in sicurezza degli spazi in cui diventa difficoltoso esercitare la giustizia». Se è vero che la pandemia ha accentuato le già note inefficienze del sistema giudiziario, è altrettanto vero che bisogna ripartire perché «i cittadini – sottolinea Giaconia – hanno diritto a una giustizia efficiente e lo Stato deve garantirla».

Ecco perché gli avvocati remano verso una ripresa immediata del sistema giudiziario. Due i nodi da sciogliere: il come e il quando ripartire. Nonostante il 7 luglio le attività dovrebbero ricominciare, c’è poca chiarezza sulle modalità. «Cosa succederà ai processi dopo il 7 luglio? – si chiede Giaconia – C’è il rischio che l’udienza diventi un’eccezione». In effetti, causa pandemia, la trattazione delle udienze ha riguardato solo i procedimenti più urgenti, gli altri sono stati eseguiti con accesso da remoto, tramite processo telematico e trattazione scritta. «Da un lato questo ha evitato l’assoluta paralisi – commenta il presidente dell’Ordine – dall’altro ha intaccato l’attività degli avvocati e degli operatori della giustizia che spesso sono andati incontro a pregiudizi e difficoltà di tipo economico».

Ad aggravare il quadro ci sono le tante limitazioni dovute al contenimento del contagio che hanno contribuito a logorare le relazioni tra avvocati e cancellerie. Uno dei motivi per i quali venti giorni fa, circa duecento avvocati si sono riuniti in un flash mob di denuncia di alcuni episodi «che – a dire dei manifestanti – minacciano la dignità della professione» e che ha rischiato di minare il rapporto tra iscritti all’albo e Ordine professionale, non partecipante alla protesta. «Non abbiamo partecipato ufficialmente alla manifestazione perché le avvocature italiane erano già in stato di agitazione – spiega Pizzino – ma è vero che ci sono state limitazioni di accesso al Palazzo di giustizia e in cancelleria». 

Il riferimento è alla segnalazione, inviata da un’avvocata all’Ordine lo scorso 20 maggio, con cui si denuncia l’allontanamento della propria praticante dalla cancelleria della corte d’Assise. «Una persona munita di mascherina – si legge nella segnalazione – in modo alquanto irruente, redarguiva la collega dicendole di uscire immediatamente dal Tribunale». La persona in questione viene poi identificata come il presidente della corte d’Appello Giuseppe Meliadò. Sul punto, però, il presidente del Coa minimizza: «Anche i giovani praticanti sono confluiti in questo sistema di restrizioni». Per quanto riguarda l’episodio specifico,  «mi è stato riferito – conferma il presidente -, ma mi lasci dire che in tre mesi di difficoltà un atto di nervosismo può capitare. Mi sono impegnato per affrontare quanto accaduto e siamo in attesa di un incontro chiarificatore tra le colleghe, l’Ordine e il presidente della Corte d’Appello».

Gabriele Patti

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