E se fare un tuffo a mare venisse a costare dai cento euro in su? Non si tratta dell’ultima trovata nel campo delle privatizzazioni, ma di ciò che è previsto per chi non rispetterà i contenuti delle ordinanze pubblicate dagli Uffici territoriali dell’ambiente (Uta), ramificazioni provinciali dell’assessorato al Territorio. Al centro dell’attenzione, infatti, c’è la decisione di interdire alcuni tratti di demanio marittimo. In soldoni si tratta di interi pezzi di costa su cui sarà impossibile qualsiasi attività: lidi, chioschi, ma persino una semplice nuotata. Nell’elenco ci sono anche punti d’attrazione non solo per i residenti ma anche per i turisti che scelgono la Sicilia per trascorrere le vacanze estive. Solo per fare alcuni esempi, tra le località citate ci sono l’Isola Bella, a Taormina, diversi punti di Lipari e più in generale delle Eolie, ma anche segmenti di costa che da Riposto passa per Acireale, Aci Castello fino al lungomare di Catania ed è costellata da borghi marinari e cale che ogni giorno ospitano migliaia di persone. In provincia di Siracusa, invece, sono interessati i comuni di Carlentini, Augusta, Siracusa, Avola, Noto, Pachino e Portopalo di Capo Passero.
All’origine dei provvedimenti – a mancare all’appello sono ancora le ordinanze che saranno diramate a breve dagli Uta di Palermo, Trapani e Agrigento, mentre niente dovrebbe arrivare da Caltanissetta e Ragusa – c’è l’esigenza di tutelare l’incolumità delle persone in virtù di ciò che è contenuto nei Pai, i piani per l’assetto idrogeologico che contengono le cartografie dei bacini idrografici dell’Isola, specificando i livelli di pericolosità e rischio da un punto di vista geomorfologico e idraulico. Il tema, che l’autunno scorso è finito prepotentemente al centro dell’attenzione mediatica insieme all’abusivismo edilizio dopo la tragedia di Casteldaccia, ha scosso la tranquillità di tantissimi sindaci delle zone costiere che, con l’estate alle porte, anziché ragionare sui possibili ritorni turistici dovranno affiggere cartelli e bloccare le attività nelle aree interdette. Comprese quelle ristorative e ricreative, come solarium, stabilimenti balneari e punti di ristoro. «Nelle aree demaniali marittime che interferiscono con le aree in dissesto idrogeologico censite e caratterizzate da un livello di pericolosità molto elevato o elevato (in termini tecnici indicato con P4 e P3, ndr) è vietata la sosta e il transito di persone e autoveicoli e ogni altra attività incompatibile con lo stato di dissesto», si legge nell’ordinanza.
Mentre tra i privati in possesso di concessioni demaniali c’è chi ha già iniziato a informare la propria clientela che, se le cose non dovessero cambiare, quest’anno le attività saranno sospese, i primi cittadini sperano di trovare una soluzione. «In molti casi, ed è la nostra situazione, le prescrizioni fanno riferimento a una situazione idrogeologica che va aggiornata – dichiara il sindaco di Acireale Stefano Alì -. Si tratta di un tema importante, ma va trovata una mediazione con gli uffici regionali. Negli anni scorsi numerosi interventi di mitigazione del rischio sono stati fatti sulla timpa che sovrasta diverse frazioni a mare, ma evidentemente non sono stati presi in considerazione».
A fare riferimento a un’interpretazione del principio di precauzione particolarmente stringente è invece il sindaco di Lipari Marco Giorgianni. «Abbiamo preso visione dell’ordinanza in queste ore (ieri, ndr) – dichiara -. La sensazione è che per larghi tratti ricalchi i divieti con cui già conviviamo per via di alcune prescrizioni imposte dalla Protezione civile in seguito a un terremoto. Senza voler fare alcuna polemica, purtroppo le responsabilità vengono fatte ricadere sempre sui sindaci a cui viene chiesto di far fronte a problemi senza avere le risorse necessarie». La messa in sicurezza, infatti, spesso richiede somme non alla portata dei bilanci comunali. «Se consideriamo le coste che ricadono nel mio Comune, considerato che è costituito da più isole, parliamo di un’estensione superiore a molte province – prosegue Giorgianni -. Non è per nulla semplice, specialmente per un territorio come il nostro che ha nelle escursioni turistiche e nella pesca due cardini dell’economia locale».
Dagli uffici, intanto, trapela come la stretta sull’agibilità del demanio segua anche una volontà del governo Musumeci di voler mettere nero su bianco tutte le azioni necessarie a evitare nuove tragedie. «In alcuni casi la misura può sembrare eccessiva, ma queste sono le indicazioni – commenta un funzionario -. Ai Comuni non resta che mettere in atto le azioni per ridurre i livelli di pericolosità e ottenere così la revoca dell’interdizione». C’è poi chi immagina un aiuto economico dagli stessi privati. «Da un punto di vista imprenditoriale, nei casi in cui l’intervento da fare è contenuto, il concessionario potrebbe essere interessato a investire nella sicurezza, consapevole che ciò potrebbe garantire la continuazione dell’attività», afferma il burocrate.
Le contraddizioni che accompagnano i provvedimenti però sembrano non mancare. A segnalarli è un altro sindaco. «Interdicono le aree demaniali, eppure a ridosso in molti casi ci sono civili abitazioni che ricadono in territorio comunale – commenta – A questo punto mi chiedo se ci si aspetta dai primi cittadini che facciano anche delle ordinanze di sgombero». La speranza, tuttavia, potrebbe essere nella stessa relazione generale che accompagna il Pai. Nella parte riguardante la disciplina delle aree a pericolosità geomorfologia e idraulica è specificato che sono consentite le opere e gli interventi «relative ad attività di tempo libero compatibili con la pericolosità della zona».
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