Così Hemingway spiava Mao

SAPEVAMO tutto delle sue avventure in Italia durante la prima guerra mondiale, in Spagna durante la guerra civile. Ma una pagina della vita di Ernest Hemingway è rimasta avvolta nel mistero: i cento giorni che il futuro premio Nobel della letteratura trascorse in Cina durante il secondo conflitto mondiale. La cortina di segreto sulla missione cinese del 1941 rivela solo oggi la sua spiegazione. Lo scrittore americano lavorò come spia per il suo governo. Mandava rapporti a Washington sulle lotte fra i comunisti di Mao, i nazionalisti di Chiang Kai-Shek e gli invasori giapponesi.

E se il suo lavoro di reporter dalla Cina fu mediocre, l’intelligence fornita all’amministrazione Roosevelt rivela a posteriori una sorprendente lucidità politica.
Hemingway arriva nella Cina devastata dalla guerra per la più improbabile delle missioni: una luna di miele. Lo trascina lì la sua terza moglie, la celebre giornalista americana Martha Gellhorn. I due si sono conosciuti nel 1937 in mezzo alla tragedia della Spagna, dove Hemingway raccoglie la materia per uno dei suoi migliori romanzi, “Per chi suona la campana”. Quando approdano in Cina il loro matrimonio in realtà sta già andando a pezzi.

La convivenza è troppo difficile tra due star dei mass media, due egocentrici, ambedue innamorati del proprio lavoro più che del partner. La Gellhorn, alta, bionda, snob, discendente da una famiglia patrizia, scrive per la prestigiosa rivista Collier corrispondenze da un fronte asiatico ancora ignorato dagli occidentali, ma che ben presto diventerà cruciale con l’attacco giapponese a Pearl Harbor. Hemingway la accompagna controvoglia nel gennaio 1941.

Secondo i ricordi dei testimoni, mentre lei insegue un conflitto cinese complesso e sfuggente, lui trascorre la maggior parte del tempo a ubriacarsi al bar del suo lussuoso albergo di Hong Kong, e a informarsi su come stanno andando le vendite dei romanzi. Il suo ozio non è del tutto improduttivo, però. Tra i compagni di sbornie di Hemingway a Hong Kong abbondano diplomatici, alti ufficiali, loschi affaristi, spie e faccendieri che sanno molto di quel che accade nel resto della Cina.

Pur nei fumi dell’alcol, lo scrittore registra e annota, interpreta e prevede. Ha anche lui un incarico per una rivista di New York, ma le corrispondenze che invia dall’Estremo Oriente non hanno il fascino delle pagine migliori di Hemingway giornalista: c’è poco racconto e troppa analisi. In quei cento giorni il meglio di sé lo dà altrove. E’ quel che ha scoperto dopo dieci anni di ricerche uno studioso canadese, Peter Moreira, il cui libro “Hemingway in China” uscirà tra un mese negli Stati Uniti.

In un archivio privato custodito a Princeton, Moreira ha trovato un rapporto di sei pagine che Hemingway invia il 30 luglio 1941 al ministro del Tesoro americano, Henry Morgenthau, con una dettagliata ricognizione del conflitto tra i comunisti e i nazionalisti cinesi. Morgenthau è un personaggio-chiave nell’amministrazione Roosevelt, è l’architetto finanziario del New Deal.

E’ anche, insieme con l’economista inglese John Maynard Keynes, uno degli artefici degli accordi di Bretton Woods, del Fondo monetario internazionale, delle nuove regole che l’America disegna per rilanciare l’economia mondiale nel dopoguerra. Come segretario al Tesoro, Morgenthau controlla i finanziamenti che Washington fornisce al governo nazionalista cinese di Chiang Kai-Shek, ufficialmente impegnato a combattere i giapponesi.

Morgenthau vorrebbe saperne di più su come vengono spesi i soldi che manda in Cina, ma ha pessimi rapporti con l’intelligence di Washington. Perciò tramite il suo sottosegretario Harry Dexter White ingaggia Hemingway come informatore confidenziale. Quel rapporto segreto del 1941 è illuminante: Hemingway avvisa il suo governo che Chiang Kai-Shek considera i partigiani comunisti, non i giapponesi, come il nemico principale.

“L’unica soluzione – scrive Hemingway – per evitare che si precipiti verso una vera e propria guerra fratricida tra cinesi, è che l’America chiarisca subito che non avallerà e non finanzierà una guerra civile”. Il romanziere, che grazie alla moglie ha avuto anche un incontro segreto col braccio destro di Mao, Zhou Enlai, esorta il suo governo a riconoscere il potenziale dei comunisti, e consiglia di spingere Chiang Kai-Shek verso un compromesso.

Le cose finiranno diversamente: dopo le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, dopo la resa incondizionata del Giappone agli americani, la Cina precipita proprio nella guerra civile prevista da Hemingway, fino alla vittoria finale delle truppe di Mao nel 1949. Per un’ironia della sorte, le informative segrete inviate dallo scrittore forse non ebbero abbastanza influenza a Washington, ma furono lette avidamente a Mosca. Dopo la guerra si scoprì che Harry Dexter White, il braccio destro di Morgenthau che aveva assoldato il romanziere, era una delle più importanti “talpe” nella rete di spie sovietiche a Washington.

Da quel primo assaggio Hemingway prese gusto al gioco dello spionaggio. Nel 1942 di sua iniziativa creò The Crook Factory, un’agenzia privata con lo scopo di indagare sugli agenti filo-nazisti presenti a Cuba. Era un’Armata Brancaleone i cui agenti segreti erano preti e camerieri, pescatori, magnaccia e prostitute. Venne smantellata nel 1943 e Hemingway si dedicò con più profitto alla pesca, alla caccia grossa, e soprattutto alla letteratura. Da Martha Gellhorn divorziò nel 1945.

Lei del mestiere di inviato di guerra in Cina aveva conservato ricordi e cicatrici ben peggiori, soprattutto una terribile dissenteria che l’aveva ridotta quasi in fin di vita. Ernest si suicidò nel 1961, Martha nel 1998.

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Repubblica.it

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