I tombaroli al servizio di Cosa nostra, con la mafia consapevole del giro di soldi che ruota attorno al commercio clandestino di reperti archeologici. È ciò che emerge dalle carte che hanno portato al sequestro milionario a carico del 78enne Giovanni Franco Becchina, imprenditore e commerciante poliedrico, capace nel corso della propria vita di vendere sia cemento che olio d’oliva. Ma soprattutto di fare fruttare la propria passione per le opere d’arte, sfociata in passato anche nell’apertura di una galleria a Basilea, in Svizzera.
Becchina, però, avrebbe operato all’ombra della mafia. A fare il suo nome è stato Lorenzo Cimarosa, il cognato di Matteo Messina Denaro, che ha collaborato con la giustizia negli ultimi anni di vita, ma anche i pentiti Rosario Spatola, Vincenzo Calcara, Angelo Siino e Giovanni Brusca. Dai loro racconti sono emersi i collegamenti tra il 78enne e il noto latitante capomafia di Castelvetrano, ricostruzioni che hanno convinto la Procura di Palermo a chiedere al Tribunale di Trapani la misura di prevenzione. Per la Direzione investigativa antimafia «per oltre un trentennio Becchina avrebbe accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati clandestinamente nel più importante sito archeologico della Sicilia, quello di Selinunte, da tombaroli al servizio di Cosa Nostra».
Il business con la famiglia Messina Denaro sarebbe iniziato già con Francesco, il padre di Matteo deceduto nel 1998. Alle indagini ha preso parte anche la polizia giudiziaria elvetica. Oggetto del sequestro sono state le società Olio verde srl, Demetra srl, Becchina&Company srl, e poi ancora terreni, automezzi, immobili.
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