Da una parte un nuovo possibile business per Cosa nostra, dall’altra i terreni della famiglia D’Alì. Nel mezzo l’interesse per la principessa. Il nuovo accostamento tra la mafia trapanese e l’ex senatore di Forza Italia Antonio D’Alì (non indagato) passa da una particolare specie arborea, la paulonia, albero dal legno talmente pregiato da meritarsi l’appellativo regale. Il politico forzista, negli ultimi mesi entrato in aspra polemica con i vertici regionali del partito, al punto da rinunciare alla candidatura per le Politiche, è citato nell’ordinanza emessa dal gip del tribunale di Palermo che, questa mattina, ha portato in carcere 12 persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e favoreggiamento nonché intestazione fittizia di beni. La notizia arriva a dieci mesi dalla considerazione della Dda di Palermo sulla pericolosità sociale di D’Alì e a cinquanta giorni dalla notizia dell’annullamento da parte della Cassazione dell’assoluzione nel processo per favoreggiamento alla mafia.
Ad avvicinare la figura del politico agli ambienti della criminalità organizzata è Girolamo Scandariato, 49enne che nell’autunno del 2000 è stato condannato in via definitiva per mafia. L’uomo sarebbe stato il regista di un affare con cui si puntava a realizzare in provincia di Trapani una piantagione da 13mila alberi, sfruttando il crowdfunding e le facilitazioni fiscali connesse al cosiddetto Decreto Crescita 2.0. A portare avanti il progetto sono state due società: la Agri innovazioni e la Paulownia social project, controllata, secondo gli inquirenti, quasi interamente dalla prima. Il passato giudiziario di Scandariato – il cui padre è stato considerato in passato reggente della famiglia mafiosa di Calatafimi – avrebbe portato il 49enne a cercare di occultare la propria presenza nelle società, coinvolgendo il figlio Nicolò. Diciannovenne che, a ridosso dell’avvio della piantagione, riceve dal padre il 25 per cento delle quote della Agri innovazioni. Grazie a lui, nella ricostruzione degli inquirenti, il business di Scandariato sarebbe rimasto protetto da eventuali indagini patrimoniali, così come accadutogli in passato. «Mi avevano bloccato tutte cose, va. Terra, case, macchine», commenta l’uomo senza sapere di essere intercettato. Il riferimento va a un passato provvedimento giudiziario, che lo aveva visto destinatario di un decreto di sequestro, in quanto ritenuto prestanome del padre. «Gli ho portato le carte, gli ho detto qua non c’è prestanome di nessuno», sottolineava.
Per riuscire però a fare soldi dalla paulonia c’era bisogno di trovare un terreno. È a questo punto che entrano in gioco l’ex senatore D’Alì e il fratello Giacomo. I due, infatti, posseggono un fondo – di cui proprietaria risulta la madre – in contrada Chinea, a Trapani, vicino al confine con Salemi. L’8 agosto 2014, Scandariato avrebbe dato disposizione a una persona di fiducia affinché procurasse il numero di telefono di Giacomo D’Alì. Venuti a conoscenza della proposta di affittare il fondo, i D’Alì si sarebbero presi qualche giorno per pensare, e l’affare, che prevedeva un canone annuo di 700 euro a ettaro, alla fine va in porto. È il 5 settembre quando le parti si incontrano. Tra i partecipanti all’appuntamento c’è lo stesso Scandariato. «Una volta raggiunta la masseria – ricostruiscono gli inquirenti – l’autovettura Audi veniva parcheggiata al margine della strada e dalla stessa scendevano il senatore D’Alì (quale passeggero anteriore) ed Emanuele D’Abundo (anche lui indagato, ndr). Mentre, dalla Ford Kuga che seguiva, scendevano Girolamo Scandariato e Antonino Gucciardi (conducente). Dopo essersi intrattenuti a dialogare per alcuni minuti al margine della strada – si legga nell’ordinanza firmata dal gip – l’Audi con a bordo D’Alì si allontanava dal sito, mentre Scandariato, D’Abundo e Gucciardi rientravano».
«Nel 2014 è stato stipulato un contratto d’affitto relativo ai terreni di nostra madre con la società Paulownia social project, rappresentata dall’amministratore unico Girolamo Culmone, noto esponente del Wwf. La trattativa si è svolta con lo stesso e con i legali della società, senza alcun intermediario», affermano i fratelli D’Alì in una nota. A riguardo Culmone, contattato da MeridioNews, commenta: «Confermo di avere stipulato il contratto con i D’Alì, dei quali conoscevo soltanto l’ex senatore, per il resto mi sono solo occupato della gestione di un progetto avveniristico nel settore della silvicoltura». Sulla presenza di Scandariato tra le persone interessate al business, Culmone specifica: «Per esperienza professionale conoscevo soltanto gli altri soci, lui ho avuto modo di conoscerlo soltanto in occasione della costituzione della Paulownia social project. Non sapevo avesse avuto condanne per mafia».
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