Una storia vecchia, con più ombre che luci: quella del trasporto dei malati che vengono dimessi dagli ospedali. Un business su cui ormai da anni hanno messo le mani centinaia di onlus private sganciate formalmente dai nosocomi ma che all’interno delle strutture si muovono come se fossero a casa loro. Basta fare un giro nei reparti e nelle sale d’attesa per notare decine di bigliettini da visita – con foto di Santi e Madonne – con i quali viene pubblicizzato il servizio. Lo stesso che a Palermo sarebbe stato gestito in maniera monopolistica da Cosa nostra, almeno negli ospedali Civico e Policlinico. Il dato è contenuto nell’inchiesta Fenice della procura di Palermo che ha messo sotto la lente d’ingrandimento la famiglia mafiosa di Misilmeri e in particolare la figura di Michele Cosimo Sciarabba. Quest’ultimo, classe 1979, è accusato di avere retto il mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno succedendo al padre Salvatore, indicato dagli investigatori come uno degli uomini più fedeli di Bernardo Provenzano.
L’indagine Fenice, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, ha fatto emergere il ruolo di «mediatore e coordinatore illecito» di Sciarabba nell’attività di trasporto malati ma anche in quella dei servizi funebri. L’uomo sarebbe intervenuto per fissare le regole e garantire il funzionamento «in regime di monopolio mafioso delle ditte». Società e cooperative, alcune delle quali chiuse negli anni, che farebbero emergere il ruolo egemone di Sciarabba e della storica famiglia mafiosa di Porta Nuova dei D’Ambrogio, imparentati con l’uomo attraverso la mamma.
Nelle carte dell’inchiesta si fa riferimento a conflitti interni agli stessi D’Ambrogio – con un’ambulanza portata via che doveva essere restituita – ma anche a delle richieste di intervento, fatte a Sciarabba, quando nuove ditte cercavano di inserirsi nel mercato del trasporto dei malati. Una di queste, a quanto pare sotto la protezione della famiglia mafiosa di Altarello, avrebbe chiesto «di lavorare liberamente» al Policlinico di Palermo. «Ti sto venendo a dire che è giusto che dobbiamo buscarci il pane» avrebbe detto l’uomo a chi, a sua volta, spiegava la vicenda al presunto reggente della famiglia mafiosa di Misilmeri. «Lui era un poco aggressivo – continua nel racconto l’interlocutore di Sciarabba – e io sono stato un poco più aggressivo».
Gli interessi nel settore sarebbero rimasti costanti anche durante la fase più acuta della pandemia da Covid-19. In un’intercettazione finita agli atti dell’inchiesta, Sciarabba si lamentava con il cugino Totino D’Ambrogio per la gestione dei malati infetti dal virus. «Il 118 dice che è pieno di lavoro – spiegava al parente – ma perché fanno i trasporti Covid negli altri ospedali. Tu già hai il tuo lavoro e devi andare a togliere lavoro». «Hanno preso cinque o sei ambulanze e le hanno dedicate al trasporto Covid», provava a spiegare D’Ambrogio. «E scusa – replicava Sciarabba – se io la sera sono all’ospedale Buccheri La Ferla perché mi devi venire a togliere il pane a me?». «È stupefacente che ancora oggi – scrive la giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio nell’ordinanza – attraverso diverse società, nemmeno troppo schermate, i servizi essenziali per la collettività siano saldamente in mano alla mafia».
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