Cosa Nostra a Licata e il funzionario regionale massone «Ha due facce: da un lato il crocifisso, dall’altro Riina»

Massoneria, appoggi negli uffici della Regione, contatti con Cosa Nostra catanese per infiltrare anche le demolizioni degli immobili abusivi a Licata. 

L’operazione scattata oggi da parte dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Agrigento, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, svela uno scenario inquietante delle attività di Cosa Nostra agrigentina. In particolare della famiglia di Licata, guidata dal 79enne Giovanni Lauria. Ma tra i sette fermati è soprattutto un altro il nome quello che scotta: Lucio Lutri, funzionario della Regione.

GLI ARRESTATI
Lutri, 60enne dipendente del dipartimento Energia a Palermo (attualmente al servizio 4 sulla gestione dei fondi europei), rappresenterebbe il legame tra mafia e massoneria, uno dei punti nevralgici dell’operazione denominata Halycon. Massone sarebbe stato anche un altro degli arrestati, Vito Lauria, 49 anni, figlio di Giovanni detto il professore perché ha insegnato a Ravanusa (79 anni e pure lui arrestato oggi), quest’ultimo ritenuto vertice di Cosa Nostra a Licata. Gli altri fermati sono: Angelo Lauria, 45 anni, Giacomo Casa, 64 anni, Giovanni Mugnos, 53 anni, Raimondo Semprevivo, 47 anni. Vito Lauria è stato maestro venerabile della loggia Arnaldo da Brescia di Licata, iscritta al Grande oriente d’Italia.

IL MAESTRO VENERABILE FUNZIONARIO REGIONALE
Lutri è stato maestro venerabile della loggia Pensiero e Azione. Tre anni fa MeridioNews sollevò il caso della sua iscrizione alla loggia dopo aver trovato, in un cassonetto dell’indifferenziata proprio vicino al dipartimento Energia, alcuni documenti sulla fondazione della loggia: 21 pagine che descrivevano la cerimonia celebrativa – il 5 marzo del 2016 nel capoluogo siciliano – della loggia numero 1498 del Grande Oriente d’Italia. «Ho del tempo che dedico anche a queste cose, ma non è l’occasione giusta per parlarne», tagliò corto Lutri al telefono.

Durante la cerimonia, stando ai documenti ritrovati, veniva elogiato il lungo curriculum massone di Lutri: «Elevato al grado di compagno d’arte» e poi «al sublime grado di maestro», dopo tre anni sarebbe diventato «dignitario di loggia». Per questo, continuava il maestro venerabile insediante, «riconosco in voi tutte le qualità e i requisiti necessari» alla nuova promozione.

Qualità che, secondo i carabinieri, sarebbero state messe anche a servizio di Cosa Nostra. «Ha sistematicamente messo a disposizione della consorteria mafiosa la privilegiata rete di rapporti intrattenuti con altri massoni professionisti ed esponenti delle istituzioni», scrivono i carabinieri. Lutri avrebbe veicolato informazioni riservate sulle indagini in corso a carico della cosca, e si sarebbe messo in contatto con professionisti e compiacenti dipendenti della pubblica amministrazione (in gran parte anch’essi massoni) «al fine di favorire le più disparate richieste (alcune delle quali illecite) avanzategli dai singoli componenti della famiglia di Licata per affari e vicende relative ai loro interessi patrimoniali».

A definire Lutri con una inquietante frase è un altro degli arrestati, accusato di mafia, Giovanni Mugnos: «Ha due facce… una… e due… e come se io la mattina quando mi sveglio e con una mano tocco il crocifisso e dra banna ho il quadro di Totò Riina e mi faccio la croce». E in un’altra intercettazione è lo stesso Lutri a vantarsi dei suoi rapporti trasversali: «Ma chi minchia ci deve fermare più?».

Lutri avrebbe garantito una faccia pulita e istituzionale per i rapporti che Cosa Nostra voleva tessere. Anche a livello internazionale. Dalle intercettazioni è stato accertato che la famiglia di Licata confidava nella rete di legami dell’allora maestro venerabile per amplificare il proprio prestigio e per accrescere le potenzialità, tanto da ipotizzare la possibilità di estendere all’estero i propri interessi economico-criminali. In cambio il funzionario regionale avrebbe usato la criminalità per favori personali: costringere con metodi mafiosi un imprenditore restio ad onorare un debito nei confronti di una persona a lui vicina, o attivare contatti mafiosa nella zona di Canicattì.

LA FAMIGLIA MAFIOSA DI LICATA
Giovanni Lauria, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa, è ritenuto il vertice di Cosa Nostra a Licata. Dopo essere uscito dal carcere, sarebbe tornato a presiedere riunioni e incontri con gli altri associati, gestendo e pianificando tutti gli affari illeciti, e mantenendo il collegamento con esponenti di altre famiglie di Cosa nostra della Sicilia Orientale.

Lauria è stato fedelissimo di Giuseppe Falsone, rappresentante provinciale di Cosa Nostra agrigentina, e in contatto con le famiglie catanesi, in particolare quella di Caltagirone. Dopo aver scontato la pena, sarebbe tornato riferimento assoluto a Licata. La sua figura riemerge nella recente operazione Assedio: Lauria partecipa a una riunione convocata dal mafioso Angelo Occhipinti che, uscito dal carcere nell’ottobre del 2017, avrebbe assunto un ruolo di vertice nelle dinamiche mafiose di Licata. Nel capannone ultra protetto di Occhipinti, i due avrebbero trovato l’accordo per mettere fini ai dissidi interni alle famiglie di Licata e ricompattarsi.

I RAPPORTI CON LA MAFIA CATANESE
Storici sono i rapporti tra Cosa Nostra agrigentina e catanese. E anche in questa indagine emerge il legame tra Giovanni Lauria e la famiglia di Caltagirone, in particolare col capomafia Salvatore Seminara, condannato come massimo vertice provinciale di Cosa Nostra a Enna. Seminara è attualmente sotto processo anche perché ritenuto mandante del duplice omicidio commesso il giorno di Pasqua del 2015 a Raddusa.

Le indagini del Ros dei carabinieri hanno documentato riunioni tra esponenti delle due famiglie. Rapporti che avrebbero avuto al centro l’infiltrazione dei lavori per la realizzazione di un importante complesso turistico alberghiero e per la demolizione di immobili abusivi nel Comune di Licata.

Salvo Catalano

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