«Legalità e giustizia sono due cose diverse, lo abbiamo imparato in questi anni». È così che si apre e si chiude il corteo contro lo sgombero, il 5 dicembre, dello Studentato 95100 e del consultorio autogestito Mi cuerpo es mio di Catania. Una manifestazione partecipata – quasi duemila persone hanno sfilato da villa Bellini a piazza Duomo – ed eterogenea per genere, età e appartenenza politica. Tutti riuniti per rilevare l’«ipocrisia delle istituzioni che si battono il petto e poi sgomberano un presidio contro la violenza sulle donne lo stesso giorno dei funerali di Giulia Cecchettin», uccisa a Padova dall’ex fidanzato a inizio novembre. Un atto arrivato a poco più di una settimana dal 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, come ha rilevato anche il noto fumettista Zerocalcare, in visita di solidarietà al presidio permanente. «Questura e Comune si rimpallano la responsabilità – spiegano le volontarie dei locali di via Sant’Elena dove si riunisce anche il movimento transfemminista Non una di meno – Ma nessuno, dal 6 novembre, data in cui è stata firmata l’ordinanza di sgombero, ha mai chiesto di incontrarci. Nonostante noi lo chiediamo da sei anni».
Una sola la spiegazione data dal sindaco di Catania Enrico Trantino, che presiede anche l’ente Biblioteche Riunite Ursino Recupero, proprietario dell’immobile: «Un posto pubblico non può essere occupato in modo abusivo». Una questione di legalità, insomma. Ma non solo. «Il sindaco deve smetterla con questa campagna diffamatoria secondo cui noi non svolgevamo alcuna attività, sostenuta da una richiesta medica (una ricetta, comunemente detta, ndr) datata 2021 e secondo cui da allora non avremmo fatto nulla – spiega Lara Torrisi, tra le volontarie – Di contro ci accusa anche di aver svolto attività a scopo di lucro. Mettiamoci d’accordo: al consultorio si operava oppure no?».
Locali in cui negli anni sono andati espandendosi i servizi, supportati da una rete di professioniste volontarie: psicologhe, ginecologhe, ostetriche, doule, avvocate. Per risolvere problemi sanitari di chi ha difficoltà ad accedere al privato ma non può attendere i tempi del pubblico e per sostenere percorsi di fuoriuscita dalla violenza per le donne. «Il giorno dello sgombero, nel pomeriggio, avremmo dovuto incontrare un’avvocata per aprire uno sportello contro le molestie – spiegano le volontarie – Non vogliono? Non fa niente, ne apriremo dieci, cento, mille». Perché una cosa, a conclusione del corteo, appare chiara: la sfilata di ieri in via Etnea non è stato il triste funerale di una realtà sociale autogestita, ma un punto di inizio per «una serie di iniziative che continueranno nelle prossime settimane».
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