Nega ogni accusa e rimanda ai mittenti l’appellativo di monopolista. Francesco Russo Morosoli risponde alle domande del giudice per le indagini preliminari durante l’interrogatorio di garanzia. L’imprenditore ed editore è finito agli arresti domiciliari dopo l’operazione Aetna, condotta dalla guardia di finanza di Catania e Riposto. Al centro dell’indagine la figura di Russo Morosoli e il monopolio che lo stesso si sarebbe garantito sul Mongibello. Tutto, secondo le ipotesi della procura, attraverso un vero e proprio sistema fatto di corruzione e acquisizione di notizie riservate. In particolare per quanto riguarda l’affidamento del servizio di trasporto turistico sul versante Nord dell’Etna nel triennio 2016-2018. Oltre alla concessione di un immobile del Comune di Linguaglossa in contrada monte Conca.
«Basta essere accusato di essere un monopolista – ha detto Russo Morosoli – non ho più la gestione di Etna nord poiché mi bastava il versante sud del vulcano». L’imprenditore, assistito dagli avvocati Carmelo Peluso e Guido Ziccone, ha anche spiegato di avere rinunciato, nel 2017, di partecipare alla gara d’appalto «per non volere responsabilità». Stesso discorso anche per il bando del 2018. Durante il faccia a faccia con il giudice si è toccato anche il capitolo Ultima Tv. L’emittente televisiva di cui Russo Morosoli è editore e nell’ambito della quale è accusato di estorsione nei confronti di alcuni giornalisti. Il fondatore del canale, secondo l’accusa, avrebbe costretto alcuni dipendenti ad accettare un contratto a tempo determinato, pena il licenziamento. «L’emittente – replica l’indagato – è nata due anni fa e non sapevamo se fosse stata in grado di sopravvivere o se andava chiusa. Ho chiesto alla redazione di avere pazienza, in attesa di valutare il futuro. Due o tre giornalisti si sono messi contro di me dicendo di volere un contratto a tempo indeterminato. Mi sono arrabbiato moltissimo – conclude – perché ho detto “o tutti o nessuno” e in quel momento mi è venuta voglia di chiudere Ultima Tv».
Davanti al giudice si è presentato anche Simone Lo Grasso, dipendente di una società di Russo Morosoli. L’indagato, come il suo capo, ha rigettato ogni accusa. Sottolineando di essere stato un mero esecutore di ordini. Si è invece avvalso della facoltà di non risponde il dirigente dell’area tecnica del Comune di Linguaglossa Francesco Barone, 65 anni. Indagato per turbativa d’asta e corruzione. Domani toccherà a Salvatore Di Franco, difeso dall’avvocato Walter Rapisarda.
L’impero di Russo Morosoli deriva dalle fortune del padre Gioacchino, conosciuto con il diminutivo di Giò-Giò e morto tragicamente in un incidente stradale nel 2013. Al figlio il giudice per le indagini preliminari ha accostato un «uso spregiudicato dell’emittente» ma anche una «serie di reati per garantirsi il monopolio sull’Etna». Dopo le denunce, però, l’inchiesta si è chiusa in maniera anticipata perché «gli indagati risultavano a conoscenza delle indagini», monitorate attraverso «l’allarmante accesso abusivo al sistema informatico della procura di Catania». Nel calderone dell’inchiesta Aetna tra gli indagati sono finiti anche i sindaci di Linguaglossa, Nicolosi e Bronte. Ma soltanto per il primo cittadino di quest’ultimo Comune sono stati disposti gli arresti domiciliari con l’accusa di concorso in induzione alla corruzione. Particolare ha portato il prefetto Claudio Sammartino a revocare temporaneamente Graziano Calanna dalla carica. Il sindaco, eletto nel 2015 con il centrosinistra, ha risposto alle domande del giudice. Negando di avere chiesto una consulenza da 20mila euro per un amico, nell’ambito di un investimento privato nella città del pistacchio.
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