«Non riuscivamo a capire, non ci davamo spiegazioni». La corruzione all’interno del centro direzionale della Sicilia orientale di Anas sarebbe stata talmente endemica da portare un imprenditore a pagare una mazzetta anche a conclusione di un lavoro fatto secondo quanto previsto dal capitolato. Senza dunque quelle furberie che da anni, secondo la procura di Catania, avevano consentito alle imprese di risparmiare sui costi delle opere e ai funzionari dell’ente di arricchirsi a suon di mazzette. L’aneddoto viene fuori dal verbale di Antonino Urso, l’ingegnere sospeso ieri dal tribunale per un anno, dopo avere ammesso il proprio coinvolgimento nella tangentopoli delle strade.
Trentanove anni, Urso si è presentato spontaneamente davanti ai magistrati il 20 settembre, pochi giorni dopo il blitz negli uffici di via Basilicata in cui erano stati arrestati in flagranza di reato Giuseppe Romano – il primo funzionario che ha iniziato a collaborare con gli inquirenti -, Giuseppe Panzica e Riccardo Contino. Tra le varie ammissioni e conferme, Urso racconta al pm Fabio Regolo di una mazzetta inerente l’esecuzione dei lavori lungo la statale 575, all’altezza del territorio di Troina, in provincia di Enna. A sborsarla sarebbe stato il sancataldese Roberto Priolo. Finito ai domiciliari insieme ad altri tre imprenditori, tra i quali quel Salvatore Truscelli immortalato dalle telecamere nascoste installate dalla guardia di finanza negli uffici dell’Anas ma che a MeridioNews aveva negato ogni coinvolgimento, Priolo è titolare di una ditta con sede a Ciminna, nel Palermitano, che a ottobre dell’anno scorso si aggiudicò una gara d’appalto per «lavori di ripristino del piano viabile, consolidamento del corpo stradale e stabilizzazione di pendici in tratti saltuari».
Come procedura per selezionare la ditta a cui affidare i lavori fu scelta quella negoziata. Ovvero una gara a inviti, con una preselezione fatta dalla stessa stazione appaltante. Possibilità questa concessa dalla normativa per importi sotto al milione di euro, limite non raggiunto per meno di 60 euro. L’impresa di Priolo propose un ribasso del 31 per cento, avviando il cantiere a febbraio e concludendoli in tarda primavera. Un lavoro che si sarebbe concluso in maniera anomala rispetto all’andazzo generale. «Attenzione, Priolo aveva fatto il lavoro giusto», chiarisce Urso davanti agli inquirenti, aggiungendo di avere ricevuto 15mila euro fuori dagli uffici. Un pagamento apparentemente immotivato, su cui il pm ha provato a vederci chiaro. «Ma vi ha portato 15mila euro per fare cosa? Voglio dire non è logica questa cosa», chiede il magistrato. Senza però trovare aiuto nella loquacità dell’ingegnere pentito. «Non so dirvi il motivo per cui me li abbia consegnati, i lavori a mio avviso sono stati eseguiti in conformità. Ci chiedevamo: ma questo come lo sta facendo?»
A fronte di questi casi limite, ce ne sarebbero stati molti altri in cui la dazione di denaro sarebbe corrisposta alla disponibilità dei funzionari di chiudere un occhio al momento di controllare la regolarità delle opere. La distribuzione delle tangenti, in tal senso, sarebbe stata tale da penetrare a tre differenti livelli: oltre al responsabile dell’area tecnica, il già citato Romano, a incassare i soldi erano anche il capo centro che gestiva l’esecuzione dell’appalto e, sotto di lui, il geometra incaricato alla contabilizzazione. Mazzette che, a differenza di quanto raccomandato da Contino al collega Gaetano Trovato, anche lui finito ieri ai domiciliari, non sarebbero state consegnate soltanto all’interno degli uffici. Stando a quanto raccontato da Urso, il denaro sarebbe passato dalle mani degli imprenditori a quelli dei funzionari nei luoghi più diversi. Dal tavolo di un ristorante a un rifornimento di benzina. E c’è chi assicura che le retate potrebbero non essere finite qui.
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