«Un ci rumpiti ‘a tiesta». La finestra di casa Riina si apre piano, dopo tre scampanellate rigorose al civico 24 di via Scorsone. E a fare capolino è la testa boccoluta di una donna, che dopo qualche secondo ha già richiuso la persiana con un tonfo. Non se la sente di commentare in nessun modo la notizia, arrivata nella notte, della morte di Totò Riina, che in questa casa ha lasciato i suoi affetti più cari. Un vicino, qualche casa più in fondo, si affaccia un paio di volte, per poi sparire subito dietro le tende. In tutte le strade limitrofe l’atmosfera è di diffidenza: non circola nessuno, solo qualche auto di passaggio ogni tanto. Poi solo silenzio, il rumore di qualche persiana che si chiude, i vicoli deserti. Fanno eccezione due anziani coniugi, alle prese con un trasloco a pochi metri dalla dimore dei Riina-Bagarella. «Noi abbiamo altro per la testa», taglia subito corto il marito. «Noi un canuscemu a nuddu», replica anche la moglie. In quella stessa zona, però, ci vivono da quando sono ragazzini, dicono dopo, è difficile credere che non si siano mai nemmeno incrociati con la famiglia più chiacchierata della giornata.
A nominarlo, Totò Riina, lì nei pressi di casa sua sembra quasi che le poche persone incontrate in giro si chiudano a riccio, cambiando espressione, e la frase, specie da parte dei più anziani, è sempre la stessa: «Mai conosciuto, a stento so chi sia». C’è addirittura chi, come l’ultraottantenne Ippolito, dichiara di averlo visto solo alla televisione. Eppure anche lui vive a Corleone da sempre e di quei vicoli conosce volti, nomi e storie. Anche lui, come gli altri, è diffidente, ma si vede subito che qualcosa da raccontare ce l’ha. E mentre si lascia scappare qualche confidenza, cammina fino alle case tra via Ravenna e via Rua del Piano. «Lui è nato in questa casa gialla – dice, indicando una palazzina ad angolo -. Qua credo ci abiti ancora sua sorella Maria». Ma anche qui le uniche persone che si intravedono sono quelle che spostano le tende delle finestre per vedere fuori. E due trentenni che, passando accanto a Ippolito, senza troppa ironia gli dicono: «La gente perché non la porti a casa tua anziché qua?».
Ma più ci si allontana dalla casa della famiglia Riina, più l’atmosfera si trasforma e il clima diventa via via più disteso. In pochi scappano dalle domande e la maggior parte dei passanti si dimostra tollerante nei confronti di curiosi e giornalisti. Fino ad arrivare alla piazza principale del paese, intitolata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dove lo scenario ha del surreale e fra telecamere e microfoni di giornalisti venuti anche da molto lontano, l’impressione è quella di trovarsi quasi su un set cinematografico. E i paesani sono le comparse ideali di questo film in presa diretta. Gli umori sono diversi: i più giovani di Totò u curtu sanno poco, giusto quello che c’è da sapere. La mafia, loro, l’hanno «solo sentita nominare» e la vivono oggi come un fenomeno molto distante. «Mafia e politica sono d’accordo, lo saranno sempre, non credo che questo cambierà mai», dice un anziano della piazza. Corleone, però, è diversa secondo lui, e lo è da tempo ormai. «Basta passare qualche giorno qua per innamorarsi del paese», spiega un altro signore. «Per noi è una brava persona!», si limita invece a dire un’anziana signora a braccetto con la figlia.
Tra pareri e sensazioni diverse, sono tutti concordi nel vederla come una morte uguale alle altre, che poco o niente cambierà alla città: «Ha il nostro rispetto, è pur sempre una persona che adesso non c’è più, malgrado quello che ha fatto», è il concetto a cui si aggrappano tutti.
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