Botta e risposta tra la Fabi e l’Abi dopo la rottura delle trattative sul rinnovo del Contratto dei bancari, avvenuta ieri a seguito della linea intransigente confermata dai banchieri sul blocco degli scatti e del Tfr.
Al termine dell’incontro i rappresentanti delle banche hanno accusato i sindacati di anacronismo. «Nel corso della riunione sul rinnovo del Contratto dei bancari – si legge in una nota dell’Associazione bancaria italiana – abbiamo ripercorso i cambiamenti strutturali che il settore sta attraversando e abbiamo ribadito la volontà di discutere di salvaguardia del potere d’acquisto e trovare soluzioni innovative che diano prospettive di sostenibilità alle banche ed ai lavoratori. L’anacronistica indisponibilità dei sindacati a valutare positivamente tali aperture ha portato all’attuale situazione di stallo».
«In particolare – prosegue la nota dell’Abi – il ciclo economico con la prolungata contrazione del Pil, i profondi cambiamenti normativi e di supervisione, le significative variazioni dei comportamenti dei clienti e l’evoluzione della componente tecnologica pongono le banche di fronte ad un cambiamento strutturale che caratterizzerà il breve, il medio e il lungo periodo riflettendosi sui modelli organizzativi e di business. Un contesto che segnerà la capacità futura delle banche italiane di continuare ad essere competitive e misurarsi sui mercati, continuando a garantire il sostegno alle imprese ed alle famiglie».
A stretto giro di posta la replica di Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato maggiormente rappresentativo dei lavoratori bancari.
«L’Abi ha perfettamente ragione: siamo anacronistici – replica Sileoni -. Così ci definiscono i banchieri, perché difendiamo i diritti dei lavoratori, perché vogliamo garantire alla categoria un Contratto di lavoro. Siamo anacronistici perché non accettiamo l’eliminazione del pagamento del Tfr e degli scatti d’anzianità. Siamo anacronistici perché vogliamo rafforzare l’area contrattuale per impedire migliaia di licenziamenti nel caso di nuove aggregazioni, a seguito degli esiti degli stress test».
«Siamo anacronistici – aggiunge il segretario generale della Fabi – perché chiediamo una riduzione del 30 per cento dei compensi dei manager, che guadagnano una media di un milione e 900 mila euro all’anno».
«L’Abi ha ragione – conclude Sileoni con una buona dose di ironia -: loro sono moderni ed attuali, prova ne sono i 177 miliardi di sofferenze bancarie, generate soprattutto a causa dei prestiti regalati agli amici degli amici, e i 68 mila posti di lavoro tagliati dal 2000 al 2020. Onore al riformismo dei banchieri».
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