Continua la «protesta senza testa» «C’è mafia e mafia. Perché ci stupiamo?»

Leggo e sento, ancora in questi giorni, della protesta che continua a oltranza in certe zone dell’Isola, dei suoi possibili sviluppi, dei disagi arrecati ai cittadini, degli abusi.
Ho scritto anche io su quanto accaduto, esprimendo il mio punto di vista, e per nulla risparmiando le critiche, le denunce, talvolta sensibilmente feroci.

L’ho fatto con cognizione di causa, raccogliendo le testimonianze, gli umori, la rabbia cosciente, le ragioni della gente comune, consapevole di “cantare fuori dal coro”.

Ho definito questa rivolta, che ha paralizzato l’economia di un’intera Regione, e che ora percorre lo stivale in direzione nord, una protesta “senza testa”, priva di fondamenti culturali, di progettualità, di dialettica, di linguaggio, di idee.

Una sommossa accesasi dal malessere sociale diffuso, dalla disillusione e, purtroppo, dalla filosofia del “facemu, muvemuni, bloccamu tutti cosi“. Perché l’importante è esserci e dimostrarlo, non importa come, per sentirsi parte di qualcosa che vorrebbe passare alla storia senza aver prima superato il severo filtro della ragione.

Ho parlato anche io, insieme con molti altri onesti cittadini, di metodi mafiosi utilizzati da taluni barbari per costringere i commercianti a chiudere bottega, anche qui ad Augusta, nella mia cara città.

Ma il solo sentir pronunciare la parola mafia, per qualcuno, è motivo di pubblico scandalo. Ci si indigna e la si butta in caciara: “Unni è sta mafia, ma chi minchia stata dicennu! Ca stama murennu di fami, nun c’è travagghiu, semu tutti pari supra a stissa vacca!”.

C’è anche chi, tra le guide ‘illuminate’ dei cortei, si è sentito addirittura offeso, ingiuriato, denigrato nell’animo: “Sono affermazioni gravissime, chi ha parlato di mafia si dovrebbe vergognare!”.

Decine di volte, in queste ultime settimane, ho sentito esclamare la fatidica formula : “Fuori i nomi, è facile parlare di mafia così!”. Come se, chi subisce una intidimidazione, un sopruso, o chi ne è testimone, debba avere anche la lucidità di chiedere le generalità al malintenzionato di turno. Come se il carattere mafioso di un’azione, il suo peso, il suo disvalore, si misurassero in “nomi”. E, quindi, se non conosci l’identità di chi ti ha minacciato, non puoi lamentarti, anzi, “ta stari mutu!”. In pochi, pochissimi, hanno saputo alzare la voce nella direzione opposta, prendendo le distanze da pratiche, queste sì gravissime, coercitive e mafiose messe in atto per ottenere acritiche adesioni, per “consigliare” ai negozianti che, “magari”, è meglio abbassare “quella cazzo di saracinesca”.

Ma perché suscita queste reazioni, così maldestre e scomposte, parlare di mafia in occasioni come queste?

A tal proposito, credo giovi al ragionamento una frase di Giovanni Falcone, tratta dall’opera ‘Cose di cosa nostra’: Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.

Dunque, sotto un profilo socio-antropologico, sarebbe riduttivo e fuorviante identificare la mafia nelle sole ‘organizzazioni di stampo mafioso’. Queste ultime, semmai, costituirebbero la deriva criminale, il momento associativo di un modus vivendi, di un fenomeno subculturale più complesso e radicato.

La mafia, se vogliamo, è un modo distorto d’intendere la vita in collettività. Un atteggiamento che si fonda sull’idea della sopraffazione – attuata su chi è “altro” e “diverso”- come legge regolatrice, primitiva e immorale, di un ordine che non esiste. L’assurda pretesa , la profonda convinzione di sentirsi in diritto di calpestare la dignità altrui, pur di affermare la propria e realizzare se stessi, la propria sfera individuale, con la forza della prevaricazione.

Con tutte le sue peculiarità, essa è senz’altro una devianza patologica dall’ideale di sana, pacifica e democratica convivenza civile. Mafia è dis-ordine sperequativo e dittatoriale: “io sì e tu no”.

E allora , mi chiedo, perché tanti visi esterrefatti quando – alla vista di un violento manifestante che vuole negare ad un altro cittadino il diritto ad autodeterminarsi – si afferma che questa è mafia? Probabilmente, non si riesce a percepire sino in fondo la pericolosità sociale di simili accadimenti, di prassi deplorevoli a cui con leggerezza ci si abitua.

Forse Falcone era troppo ottimista, e si sbagliava, perché la confusione non si è ancora dissipata. Continua a ostacolare la Rivoluzione.

Gianmarco Catalano

Redazione

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