«Non è possibile recuperare il disavanzo tagliando le spese di un bilancio ingessato, ma aumentando le entrate». Non ha dubbi Leoluca Orlando, presidente dell’Anci Sicilia, sul difficile percorso che vada fatto per risanare i conti della Regione. L’associazione dei Comuni lancia l’allarme e chiama a raccolta sindaci e amministratori locali in un’assemblea straordinaria che si terrà il prossimo 27 dicembre, alla presenza del governatore Nello Musumeci e invitando anche il premier Giuseppe Conte, per affrontare la questione dei tagli al Fondo per le Autonomie, ma non solo. «L’assemblea – precisa Orlando – punta ad affrontare il tema dello sviluppo e dei servizi ai cittadini. Le criticità e le emergenze finanziarie sono veramente importanti, non solo per la sopravvivenza degli enti locali. Gli amministratori locali siciliani ricordano ancora una volta la crisi economica siciliana e lo spopolamento dell’Isola, con la pesante fuga di giovani che emigrano non per legittime esigenze di formazione e crescita professionale, ma per impossibilità di trovare sbocchi occupazionali».
Sindaco, partiamo però dal dato di fatto: se i tagli restano quelli in atto, i Comuni non sono nelle condizioni di chiudere i bilanci.
«Io vorrei impostarla un po’ diversamente: siamo arrivati a un momento che è di enorme criticità. Perché possiamo discutere di tanti aspetti nei quali si sono disattese non solo le aspettative dei Comuni, ma anche gli stessi impegni del governo nazionale. E allora noi abbiamo ritenuto di dovere chiedere che ci sia un tavolo nazionale, con governi nazionale e regionale ed Anci, quel tavolo che abbiamo realizzato per le ex Province e che ha permesso, comunque, di non fare fallire gli enti intermedi. Proprio nell’ambito di quel tavolo sono emerse alcune modifiche della legislazione nazionale».
Insomma, l’obiettivo dell’Assemblea non sono soltanto i conti del 2019.
«Noi siamo preoccupati per il 2020, non soltanto per il 2019. Per il quale siamo comunque preoccupatissimi. Perché di fatto il fondo per le autonomie, che a livello nazionale non c’è più, a livello regionale è passato da oltre 900milioni di euro a nominali 340 milioni di euro. Dico nominali perché di quella somma, 40 milioni vanno in riserve, che consentono una maggiore discrezionalità ai deputati, facendo scattare la corse a chi arriva prima. Senza contare i 40 milioni per il disagio psichico, che fanno ulteriormente scendere la soglia a 260milioni».
Quali sono i rischi sotto quella soglia?
«In atto abbiamo 30 Comuni in dissesto e altri 60 o 70 che non sono messi bene. E siamo quasi a 100. Ci sono altri 200 Comuni sotto la soglia dei 5mila abitanti che per effetto di una scelta del 2014/15, concordata anche con l’Anci, sono stati messi in sicurezza grazie al fondo per le autonomie. Se scende ulteriormente questa somma, vanno in dissesto in un colpo solo 200 Comuni. Il problema non è tanto per le grandi città, ma per i piccoli centri, per i quali stiamo parlando di sopravvivenza».
Da qui l’esigenza di sedersi attorno a un tavolo e discutere.
«Qui si sta giocando la dignità istituzionale dei Comuni. Noi non possiamo essere trattati come enti inseriti nella cosiddetta tabella H, con tutto il rispetto per la tabella H. Il problema non è soltanto economico, è di rispetto istituzionale».
Musumeci ha già annunciato la sua presenza all’assemblea del 27. Però alla conferenza stampa di fine anno ha ricordato la questione dei fondi del Patto per il Sud spostati, facendo l’esempio di Gela, che quei fondi li aveva avuti a disposizione e non li aveva spesi per 5 anni.
«Noi abbiamo un problema che è drammatico: l’assenza di personale qualificato nelle amministrazioni comunali. Abbiamo decine di Comuni che non hanno un ragioniere. Centinaia di Comuni che non hanno un ingegnere all’ufficio tecnico. Allora o si realizza una liberalizzazione delle assunzioni, che in queste condizioni finanziarie non è neanche pensabile, oppure occorre attrezzare strutture tecniche di supporto».
Per i fondi europei qualcosa si è fatto.
«Nei Comuni piccoli e medi non esistono le competenze. La Regione, ad essere sinceri, ha istituito l’ufficio speciale per la progettazione delle strade provinciali che mette a disposizione dei funzionari competenti. Ma si è organizzato l’ufficio e non si è previsto lo straordinario, o i rimborsi per le missioni, o i mezzi per andare a fare i sopralluoghi. La buona notizia è che questo ufficio c’è, e devo dire che sta facendo un buon lavoro. Ma lo sta facendo col freno a mano tirato. Questo per dire che prima di scaricare la colpa sul Comune di Gela, bisogna chiedersi se si sia trattato di inefficienza o di assenza di competenze».
Qualche settimana fa, Totò Cuffaro in Commissione Antimafia ha detto: «Senza inceneritori hanno ridotto la Sicilia a una pattumiera». Che ne pensa?
«Io credo che alla fine i termovalorizzatori potranno essere necessari. Ma non è un dettaglio farli all’inizio o alla fine. Se tu fai tre mega inceneritori in Sicilia, è evidente che hai ammazzato la raccolta differenziata. Perché i contratti di servizi che i Comuni fanno con gli impianti, sono contratti in cui i Comuni si impegnano a garantire una quantità di rifiuti: se un Comune non conferisce la quantità stabilita, paga una penale perché fa un danno. È chiaro che questo è un incentivo a non fare la differenziata e mettere tutto dentro. Io non ho un approccio ideologico nei confronti degli inceneritori, se qualcuno mi dimostra che non fanno male, qual è il problema? Però ho un approccio logico. E poi non si devono fare tre mega inceneritori, se ne devono fare moltissimi piccoli, vicini, nei territori».
Dunque non è contrario al criterio della riforma rifiuti targata Alberto Pierobon, che prevede appunto che il ciclo dei rifiuti inizi e si concluda all’interno dello stesso territorio.
«Certo. E infatti la riforma non è passata. Perché c’è questo maledetto interesse di questa cosiddetta Sicindustria antimafiosa che ha il monopolio del settore dei rifiuti e si alimenta per la cronica assenza di impianti pubblici. E noi con Bellolampo siamo fastidiosa presenza perché siamo l’unico impianto pubblico e a norma che c’è in Sicilia».
Sindaco, se lei fosse seduto sulla scomodissima – va riconosciuto – poltrona di Nello Musumeci, cosa farebbe?
«Non so se è troppo tardi, ancora forse è in tempo: io al posto di Musumeci il primo anno avrei fatto riforme anche lacrime e sangue. Dicendo che o si facevano le riforme o si andava a casa. Forse adesso è troppo tardi. All’inizio si può parlare della situazione ereditata. Dopo due anni, si diventa il passato di se stessi. E tra un anno sarà soltanto lui ad essere chiamato responsabile. Questa assemblea del 27, mi auguro che possa servire per spingere la Regione a fare scelte anche impopolari. A cominciare da un aumento delle entrate. Io spero che il governatore Musumeci voglia e possa essere ancora in tempo per fare scelte impopolari. E noi stiamo dando una sponda istituzionale tanto al governo regionale, quanto a quello nazionale».
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