Con lo sbarco degli americani in Sicilia la mafia c’entra, eccome!

Il bello della democrazia – soprattutto nel giornalismo – è confrontarsi con chi la pensa diversamente da noi. E’ il caso dell’articolo scritto da Pasquale Hamel che oggi pubblichiamo sul nostro giornale. Dove il nostro amico e collaboratore contesta il ruolo della mafia nello sbarco dei militari americani in Sicilia nel 1943. In pratica, Hamel sostiene che la mafia non ebbe alcun ruolo nello sbarco delle truppe statunitensi nella nostra Isola. L’esatto contrario di quello che abbiamo scritto noi ieri.

Hamel basa la sua tesi sulle ricostruzioni degli storici. E qui, a nostro modesto avviso, commette il primo errore. Perché se c’è una cosa che, nel nostro Paese, va presa con le pinze non è, ovviamente, la Storia, ma gli storici italiani che si sono occupati di storia dal 1860 in poi. Ovviamente, il discorso non riguarda tutti gli storici, ma una parte non secondaria di questa categoria.

Non dobbiamo dimenticare che gli storici italiani sono quelli che sono riusciti, per 150 anni – e queste farsa di cattivo gusto continua ancora oggi – a far passare un brigante di passo come Giuseppe Garibaldi per “l’eroe dei due mondi”, quando nell’altro ‘mondo’ – ovviamente in Sudamerica e non nell’Ade – era considerato poco più che un mercenario. E quando fior di scrittori e di appassionati di storia, carte alla mano, hanno dimostrato che Garibaldi e i suoi Mille erano solo dei briganti al servizio di una delle peggiori monarchie europee: i Savoia.

In un Paese dove Garibaldi è “l’eroe” e dove “l’impresa dei Mille” è una pagina ‘epica’, bisogna stare molto attenti a valutare gli storici. Questo non tanto e non soltanto per gli eccidi perpetrati da Garibaldi e dai suoi sgherri in Sicilia(che già sono fatti gravissimi), ma per i rapporti dimostrati tra Garibaldi, Bixio e Nicotera da una parte e i mafiosi dell’epoca dall’altra parte. Mafiosi che, insieme con gl’inglesi, parteciparono attivamente alla ‘conquista’ della Sicilia poi regalata ai piemontesi.

Fatta questa premessa, torniamo allo sbarco, non dei Mille, ma degli americani. Se non ricordiamo male, gli archivi sulla storia italiana di quegli anni non sono ancora stati aperti. Sono stati messi a disposizione degli studiosi, invece, gli archivi americani. Da dove emerge un rapporto piuttosto saldo tra militari americani e mafia siciliana. Con particolare riferimento alla strage di Portella della Ginestra.

In ogni caso, non è facile orientarsi nella ricostruzione dei fatti di quegli anni. Quindi, se alcuni negano il ruolo della mafia nello sbarco degli americani in Sicilia, altri lo certificano. E’ il caso di un libro che, nei primi anni ’60 del secolo passato fece epoca e che è, ancora oggi, uno dei saggi sulla mafia più conosciuto al mondo: “Mafia e politica” di Michele Pantaleone.

In questi libro – non sulla base di documenti ‘ballerini’ e carenti, ma sulla base di testimonianze raccolte dall’autore – si certifica il ruolo attivo dei mafiosi. Nello sbarco degli americani in Sicilia. Nel libro, e non ricordiamo male, c’è anche un capitolo dedicato al foulard di Lucky Luciano, che sarebbe stato recapitato da un velivolo agli ‘amici’ siciliani, quale segnale che l’operazione stava per iniziare. (a destra, una foto di Don Calogero Vizzini, tratta dall’archivio Casarrubea)

In Italia, non si capisce bene perché, ma si trovano sempre persone – per carità, anche serie e per bene – che, in nome di ‘grandi’ valori (in genere, la “verità” e il “diritto” sono i più gettonati), si premurano di difendere mascalzonate o veri e propri atti criminali. Sta avvenendo la stessa cosa, in questi giorni, con la difesa di ciò che è indifendibile: e cioè con la difesa di chi, ricoprendo ruoli importanti nel nostro Stato, si è reso protagonista, tra il 1992 e il 1993, probabilmente per salvare la propria pelle e quella di alcuni politici, della trattativa con i mafiosi.

Una difesa fuori luogo, perché ormai è stato accertato che a fare da tramite tra mafiosi e ‘pezzi’ dello Stato era Vito Ciancimino, personaggio che, guarda che caso!, ritroviamo anche nella trattativa tra americani e mafia nel 1943.

Non c’è da stupirsi, allora, se anche una persona per bene come il nostro amico Hamel si cimenti nella difesa di ciò che è indifendibile. Luciano non partecipò solo alla difesa di alcuni porti americani, ma trattò con gli americani la propria liberazione in cambio dell’appoggio degli ‘amici degli amici’ siciliani. Per agevolare lo sbarco in Sicilia, ma anche per gestire le fasi successive, limitando al minimo lo spargimento di sangue nell’Isola.

E’ vero, i militari italiani erano in numero inferiore. Ma come ha dimostrato in un bellissimo saggio Sandro Attanasio (“Sicilia senza Italia”), le truppe italiane, a parte casi sporadici, non accennarono nemmeno alla benché minima resistenza. Insomma, lo sbarco in Sicilia è stato un po’ diverso dallo sbarco in Normandia!

Piuttosto che inseguire improbabili storici, che nella migliore delle ipotesi hanno lavorato su documenti carenti, se non falsi, il nostro Hamel avrebbe fatto bene ad ascoltare le testimonianze di quelli che erano anziani negli anni ’70. Se non ricordiamo male, Hamel, come chi scrive, è di origine agrigentina. Ebbene, chi aveva sessanta o settantenni negli anni ’70 del secolo passato – con riferimento a paesi come Agrigento, Porto Empedocle, Realmonte, Siculiana, Montallegro, Sciacca – avrebbe potuto raccontagli tante storie che chi scrive ha ascoltato dalle testimonianze di tanti anziani.

A Sciacca – ad esempio – i mafiosi dell’epoca (che c’erano, ed erano anche numerosi) sapevano perfettamente, già molti mesi prima, quello che sarebbe accaduto. E lavoravano secondo precise direttive che arrivavano direttamente dall’allora capo della mafia siciliana, Don Calogero Vizzini, e dal capo riconosciuto della mafia americana, Lucky Luciano.

Le cronache di quegli anni riportano anche testimonianze di mafiosi intervenuti su quei pochi militari italiani che avrebbero voluto approntare una difesa. In quei giorni, la parola d’ordine dei mafiosi era: “Qui non spara nessuno”.

Oggi gli storici possono dire quello che vogliono: ma in Sicilia, a parte qualche timida difesa (e a parte i fatti di Canicattì, dei quali riferiremo in un altro articolo), i morti, durante e dopo lo sbarco, si contarono sulla punta delle dita.

Ma sarebbe un grave errore pensare alla mafia siciliana come semplice ‘base operativa’ in Sicilia. La verità è che, già nel 1943, gli americani avevano le idee chiare sull’Italia e, soprattutto, sulla Sicilia. Consigliano al nostro amico Hamel di leggere un libro-intervista dato alle stampe qualche anno fa da Gianni De Michelis, dal titolo: “L’ombra lunga di Yalta”.

Parliamo di un uomo politico che, nel nostro Paese, ha ricoperto il ruolo di Ministro degli Esteri. Un politico di certo non sprovveduto. E di solito molto preciso nell’utilizzare le parole. De Michelis, sintetizzando, dice che ai comunisti sovietici (in pratica, a Stalin) l’idea di un’Italia divisa a metà come la Germania non piaceva affatto. Forse perché, già in anticipo, avevano capito di che pasta era fatto Tito.

Così, a Yalta, optarono per un’Italia ‘occidentale’, ma con la possibilità – ovviamente avallata dagli americani – di costituire quello che poi diventerà il più forte e più organizzato Partito comunista d’Europa: il Pci. Chi, fra americani e russi, in Italia, avrebbe avuto più ‘cartucce’ avrebbe sparato.

Questo spiega perché, nel secondo dopoguerra, mentre in Italia il Pci, sin dalle prima battute, si ‘mangiava mezzo Psi, gli americani si organizzavano subito con “Gladio”. E con i mafiosi coinvolti, almeno ad alti livelli, nella stessa gestione di “Gladio”.

Non è un caso se, nel 1943, non appena mette piede a Palermo, ‘qualcuno’ invia a Charles Poletti – numero uno dell’amministrazione civile americana nella Sicilia occupata – un allora ventenne Vito Ciancimino nel ruolo di interprete. O dobbiamo affermare che la nomina dell’allora giovane Ciancimino al fianco del Colonnello Poletti era un ‘caso’?

Superfluo ricordare che furono gli americani a nominare molti Sindaci dei Comuni siciliani presi direttamente dalle fila dei mafiosi. La verità è che i primi accordi, gli americani, mentre è ancora in corso la Seconda guerra mondiale, li siglano con la mafia. La politica arriverà in un secondo momento. Il primo abboccamento tra americani e politica avverrà con i Separatisti. Che, in un secondo tempo, verranno definitivamente sostituiti non dalla Dc, ma da alcuni democristiani.

Anche la storia del Separatismo siciliano di quegli anni non è di semplice lettura. Perché se è vero che, per un periodo di tempo, i mafiosi appoggiarono il Movimento separatista, poi lo molleranno di brutto. E lo molleranno proprio quando, una volta ‘chiuso’ l’accordo con alcuni democristiani (che poi erano quelli che gestivano i soldi che arrivavano dall’America: soprattutto dalle parti dell’ Agrigentino), in combutta con i mafiosi organizzeranno la strage di Portella della Ginestra. Della quale molti dirigenti comunisti e socialisti erano a conoscenza, anche se non immaginavano che l’1 maggio del 1947 si sarebbe concluso con una carneficina.

Ma ‘qualcosa’ la immaginavano: tant’è vero che alcuni dirigenti del Pci e del Psi ‘allatinati’ si guardarono bene, quella mattina, dal recarsi a Portella delle Ginestre.

Il rapporto tra mafia siciliana e Stati Uniti non si interromperà mai negli anni della Prima Repubblica. Se alcuni tra i grandi boss mafiosi sono rimasti ‘latitanti’ per trent’anni o, addirittura, per quarant’anni, è perché hanno goduto di una ‘speciale immunità che traeva origine proprio dallo sbarco del 1943.

Cosa stia succedendo nella Seconda Repubblica non lo sappiamo. Ma nutriamo molti dubbi sulla debolezza della mafia siciliana (e delle sue coperture nazionali e internazionali). A rafforzare questa nostra convinzione è la reazione rabbiosa al processo sulla trattativa tra Stato e mafia, che a nostro avviso resta un ‘nervo scoperto’, non soltanto della politica italiana. Ma questa è un’altra storia.

Lo sbarco in Sicilia del americani nel 1943? La mafia non ebbe alcun ruolo

Foto di prima pagina tratta da ilduce.net

 

Giulio Ambrosetti

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