Con l’Europa unita e con l’euro siamo in guerra con migliaia di morti. Ma nessuno lo racconta

ORMAI SIAMO CITTADINI SOLO QUANDO ANDIAMO ALLE URNE E, SOPRATTUTTO, QUANDO C’E’ DA PAGARE LE TASSE

di C.Alessandro Mauceri e A.Lopez

Alla fine di Dicembre tutti, di solito, si chiedono come sarà l’anno che verrà e tirano le somme di ciò che è avvenuto nel corso dell’anno che sta per chiudersi.
Secondo i dati di Confindustria si dovrà attendere il 2021 per tornare ad avere un Pil (Prodotto interno lordo) come quello del 2007. Ma pare che i media abbiano ormai abituato gli italiani ad assorbire dati macroeconomici senza proferire parola anche quando questi nascondono i disastri che sono stati fatti dai governi che si sono succeduti negli ultimi decenni.
La realtà è ben diversa. Quanti imprenditori, nel frattempo, avranno chiuso la loro impresa, e quanti artigiani e quanti commercianti ed agricoltori… che ne sarà stato di loro nel frattempo? Mentre si aspetta di tornare ai livelli economici del passato, cosa accadrà nel 2014?
La cosa più grave è che nessuno sa in nome di cosa la maggior parte della popolazione terrestre, nel corso del 2013, ha rinunciato al proprio passato recente, e ha, con tutta probabilità, sacrificato il proprio presente, il proprio futuro e quello dei propri figli.
In nome dell’Europa? Quale Europa? Quella che, dopo aver risucchiato dalle tasche degli italiani più soldi di quelli che ha dato all’Italia, le ha solo imposto di rispettare misure e procedure (non è possibile chiamarle leggi, perché non sono state mai votate da un Parlamento)? Quella che, a detta dei padri fondatori, “avrebbe dovuto contribuire alla pace e allo sviluppo dei popoli del vecchio continente ed evitare che si avessero nuove guerre” e invece non fa altro che dotarsi di eserciti forse anche per combattere possibili future rivolte interne? E non è forse una guerra quella che stiamo vivendo?
Nessun telegiornale ha parlato di combattimenti, bombardamenti, eppure i morti per le crisi che si sono generate in molti Paesi europei sono migliaia. E migliaia sono quelli che si sono tolti la vita per il peggioramento delle condizioni economiche causato dall’Euro. Una crisi che è soprattutto finanziaria, ma che ha lasciato sui campi di battaglia milioni di feriti veri. Tutto è avvenuto e sta avvenendo in modo silenzioso e “democraticamente corretto”. Nessun telegiornale racconta come sono stati uccisi i sogni di milioni di persone, i loro ideali, le loro aspirazioni, con l’aggravante che forse non li riavranno mai più.
Allora: perché tutto questo? In nome dell’Euro? Ovvero della moneta che ha deluso le aspettative di molti e ha reso la vita di tutti più difficile e certamente più cara? E che, nonostante questo, continua ad essere presentata come una panacea che risolve tutti i mali? E, invece non è altro che un “placebo”, una finta medicina per illudere un malato immaginario di curare la propria malattia, mentre il vero male si sta propagando e si sta diffondendo in tutti i Paesi d’Europa.
In nome dell’Italia? Già, dell’Italia che ha venduto e continua a vendere a multinazionali e banchieri senza scrupoli parti del territorio e della storia, costruiti con il sangue degli avi. E che lo fa senza avere il diritto di farlo violando ogni giorno i principi fissati dai padri costituenti. E senza che gli organi preposti a garantire la Costituzione e i diritti dei cittadini muovano un solo dito per fermare questo scempio. Gli stessi non hanno il diritto di sedere in Parlamento eppure non pensano nemmeno lontanamente di dimettersi e di uscire dalla casta degli HOMO POLITICUS.
In nome della democrazia? Tutti i principi normativi ottenuti e pagati a caro prezzo dai nostri antenati sono finiti nel cassetto e sono stati dimenticati. Al loro posto è stata insediata abusivamente la volontà di pochi di fare ciò che vogliono nel proprio interesse e nell’interesse di chi li ha messi al governo nascondendo uno “sterminio di massa” dietro la scusa, a cui ormai non crede più nessuno, della necessità di adottare misure imposte dalla crisi economica.
In nome della pace? Conflitti e guerre continuano a essere combattuti in ogni parte del mondo, spesso senza altro motivo se non gli interessi di pochi gruppi industriali. E quando non è possibile giustificare l’intervento militare in un Paese più debole, si nasconde quella che non è altro che una moderna forma di colonizzazione dietro la scusa della salvaguardia dei diritti di cittadini che di certo stavano meglio prima che le bombe venissero scagliate sulle loro case da droni e aerei.
In nome della globalizzazione? Un’ennesima chimera propinata al mondo con l’obiettivo di rimuovere le barriere economiche tra i Paesi e creare mercati più ampi per le grandi multinazionali. Lo strumento ideale per creare un mercato unico mondiale celato dietro una parvenza di serenità di rapporti soprattutto tra Est e Ovest. Con questa scusa si è cercato di ricomporre i rapporti internazionali, dopo che il crollo del muro di Berlino e le manifestazioni di Piazza Tienanmen ci avevano restituito un mondo diverso da quello che conoscevamo. In realtà, pur di ammettere la Cina all’interno del novero dei Paesi capitalisti si è permesso che vi avvenisse di tutto. In nome della crescita della ricchezza di pochi sono stati cancellati diritti umani, diritti dei lavoratori e dell’infanzia e rispetto dell’ambiente. Tutto giustificando le pretese dell’economia di mercato con la finta evoluzione di un regime politico ormai meramente capitalista e la rinuncia ai principi dello Stato sociale. E lo stesso è avvenuto in molti altri Paesi, come l’India o la Russia.
Il prezzo di questa globalizzazione ha fatto sì che, in pochi decenni, in Italia e non solo in Italia, migliaia di fabbriche chiudessero e andassero perdute professionalità, qualità e soprattutto cultura e tradizioni millenarie.
Sarebbe bello che il 2014 fosse un anno di consapevolezza, di solidarietà, di partecipazione. Sarebbe bello che tutti decidessero di uscire dal proprio piccolo mondo fatto di sms e di fiction e cominciassero a riappropriarsi della propria vita reale. Se è vero che uno dei pilastri della democrazia è la partecipazione, forse è il momento che tutti, nessuno escluso, si rendano conto di dover dare il proprio contributo, ciascuno secondo le proprie competenze, per rendere l’Italia degna di essere vissuta.
Non è possibile definirsi “cittadini” solo quando si va alle urne (quelle poche volte che ci governa decide di indire le elezioni e per quei pochi cittadini che si recano ai seggi) o si deve chiedere un sussidio statale o quando si devono pagare tasse e tributi di ogni genere. Se si rendono conto che alcuni provvedimenti sono sbagliati ed ingiusti, i cittadini hanno il dovere e il diritto di dirlo e di gridarlo a gran voce. Hanno il dovere di destarsi dal letargo e di far qualcosa affinché il 2014 possa essere un anno migliore del precedente.
Solo allora, quando alla fine di un anno di sforzi non inutili come quelli imposti sino ad oggi agli italiani, si dirà “Buon Anno”… non lo si farà come augurio illusorio per l’anno che verrà, ma, guardando ai risultati ottenuti nell’anno che si chiude e con la certezza di essere ridiventati responsabili della propria vita.

 

 

 

 

 

Redazione

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