Con i nuovi consorzi i Comuni rischiano il dissesto finanziario

NON E’ PENSABILE CHE I NUOVI ENTI INTERMEDI SFUGGANO AL PATTO DI STABILITA’

di Massimo Greco

Dopo avere evidenziato i nodi non sciolti dal legislatore siciliano con la novella riforma dell’ente intermedio n. 8 del 24 marzo 2014 con particolare riferimento alle questioni del personale dipendente delle ex province regionali ed alle funzioni amministrative di tipo impositivo (in allegato gli articoli in questione, ndr), urge analizzare la questione, anch’essa non affrontata con l’attenzione che meritava, dei vincoli di finanza pubblica a cui dovrebbero (?) essere sottoposti i nuovi consorzi di comuni.

Dalla lettura di tute le disposizioni della riforma nulla emerge in merito alle problematiche dei vincoli di finanza pubblica a cui erano certamente assoggettate le ex province regionali e che oggi dovrebbero interessare i nuovi enti intermedi. Dal punto di vista delle tematiche più strettamente legate alla programmazione finanziaria, si osserva che la trasformazione, già operante dalla data di pubblicazione nella GURS in forza dell’art. 1 della citata l.r., delle nove province regionali in altrettanti consorzi di comuni avrebbe reso necessaria un’operazione di ricalibratura degli obiettivi del patto di stabilità interno. Esigenza che sarà avvertita, a fortiori, nel caso in cui i territori dei nuovi liberi consorzi di comuni, che dovessero nascere “liberamente” in forza del successivo art. 2, non coincideranno con quelli delle precedenti province regionali. Si nota ictu oculi l’assenza di ogni idoneo meccanismo per garantire il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

Né è pensabile che i nuovi enti intermedi sfuggano alle regole del Patto di stabilità. Il Patto di stabilità interno, infatti, costituisce diretta promanazione, all’interno dell’ordinamento nazionale, del Patto di stabilità e di crescita, cui aderiscono gli Stati membri dell’Unione europea, allo scopo di introdurre un meccanismo di controllo delle rispettive politiche di bilancio, mantenendo inalterati i requisiti di adesione all’Unione economica europea ed al sistema monetario unico.

In particolare, il menzionato strumento pattizio trova il suo fondamento normativo nell’art. 121 (art. 99 prima del Trattato di Lisbona) del Trattato sul Funzionamento dell’UE, in materia di politica economica coordinata tra i membri della Comunità, nonché nell’art. 126 (art. 104 prima del Trattato di Lisbona), che pone dei vincoli stringenti in riferimento al disavanzo pubblico dei singoli Stati, vincoli la cui cogenza è assicurata, sin dal Protocollo CE n. 20 del 1992, dalla previsione della particolare procedura di infrazione “per deficit eccessivo”.

Il Patto di stabilità interno, predisposto nell’ambito della manovra annuale di finanza pubblica, trova quindi la propria giustificazione nell’esigenza di assicurare, mediante interventi di contenimento della spesa pubblica nazionale, una politica economica complessiva tale da soddisfare il rispetto dei parametri economico-finanziari determinati a livello comunitario attraverso il Patto di stabilità e di crescita.

Orbene, nell’ambito delle finalità suddette, uno dei principali obiettivi perseguiti dalle regole che costituiscono il suddetto Patto nazionale, in quanto rientrante nella materia di competenza statale del coordinamento della finanza pubblica, si sostanzia proprio nel controllo dell’indebitamento di Regioni ed enti locali. Da un lato, infatti, non può certo dubitarsi che la finanza degli enti territoriali sia parte indefettibile della finanza pubblica nazionale allargata, né, tantomeno, che sia presente nell’ordinamento un obbligo generale di tutte le Regioni di contribuire all’azione di risanamento della finanza pubblica (C. cost. 28 aprile 2011, n. 155; 24 luglio 2009, n. 237; 18 luglio 2008, n. 289; 6 giugno 2008, n. 190; 17 maggio 2007, n. 169; 16 marzo 2007, n. 82; 14 novembre 2005, n. 417; 13 gennaio 2004, n. 4). Dall’altro, deve essere osservato che la recente legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, ha premesso all’art. 97 della Costituzione una specifica e significativa disposizione di principio, irrefragabile, secondo cui le P.A., in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, esplicitando a livello costituzionale un obbligo già immanente nella nostra Grundnorm per tutte le Amministrazioni.

In tale contesto è stato certamente più accorto il legislatore statale che, nell’approvare nei giorni scorsi la propria riforma dell’ente intermedio (conosciuta come riforma Delrio), all’art. 29, comma 5, ha previsto una specifica norma transitoria del seguente tenore: “Con riferimento alle città metropolitane e alle province trasformate ai sensi della presente legge, fino a una revisione del patto di stabilità che tenga conto delle funzioni a esse attribuite, i nuovi enti sono tenuti a conseguire gli obiettivi di finanza pubblica assegnati alle province di cui alla legislazione previgente ovvero alle quali subentrano”.

L’assenza di una siffatta norma transitoria, verosimilmente anche frutto di una mancata preventiva azione concertata con i Ministeri dell’economia e dell’Interno e con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, non esonera i nuovi consorzi di comuni che hanno già preso il posto delle nove province regionali dal concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, assunti in sede europea, per garantire il rispetto del Patto di stabilità e crescita e che, a tale fine, questi enti siano assoggettati alle regole del cd. patto di stabilità interno.

Del resto, se così non fosse sarebbero chiamati tutti i comuni consorziati a concorrere, in quota parte, al raggiungimento dei citati obiettivi di finanza pubblica nell’esercizio associato delle nuove funzioni amministrative riconducibili all’area vasta. E’ infatti noto il principio finanziario, peraltro affermato dalla Corte dei Conti (Sez. Controllo Lombardia n. 513/2012) secondo cui le modalità di computo ai fini della disciplina vincolistica in tema di spesa del personale incidono non solo sulla spesa del personale alle dirette dipendenze dell’ente, ma vanno conteggiate anche per il personale che svolge attività al di fuori del singolo Comune, per tutte le forme di esternalizzazione o di associazione intercomunale.

Delle due l’una quindi, o i nuovi consorzi di comuni soggiacciono ai medesimi vincoli di finanza pubblica, ancorchè in assenza di idonea copertura legislativa, ovvero di tali vincoli sono onerati aggiuntivamente i comuni consorziati che vedrebbero, ex abrupto, stravolti i propri sistemi finanziari a partire dai correnti esercizi finanziari 2014.

I nuovi consorzi di comuni e il rebus dei tributi
Riforma Province: l’eccedenza del personale è certa

Massimo Greco

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