La prima cosa da chiarire è il nostro concetto di «società civile» e del suo ruolo nell’organigramma dei soggetti che compongono la stratificazione sociale e politica di una comunità. Da un lato i politici. Dall’altro lato i criminali. In mezzo: noi, la società civile spesso tentacolarmente agganciata con i primi o i secondi o con tutti e due. Una «palude», come la definisce il sociologo Nando Dalla Chiesa, «ricca di vizi e di virtù, di inerzie e di possibilità…». In genere questa palude è un elemento amorfo che si interessa di politica solo quando tende la mano per elemosinare favori o quando non disdegna la protezione della criminalità di cui può diventare ottima collaboratrice. È un serbatoio di vizi e di virtù, di inerzia e di possibilità, alla quale bisogna urlare di svegliarsi, di liberarsi, di partecipare!
L’unica forma di partecipazione possibile, al di là del voto è, da un lato, l’educazione alla lotta allo stile mafioso, al clientelismo e alla raccomandazione, dall’altro un’attività collettiva di controllo della politica amministrativa. Ecco la necessità della trasparenza, della possibilità cioè di conoscere gli intrighi della politica, la compilazione degli atti, l’accesso ai documenti, le trame degli amministratori. Una trasparenza che da parte della politica viene spesso opacizzata, deviata, oscurata. Il politico ama farsi applaudire dai suoi fan, assecondarne gli umori, non esporsi alla critica del cittadino che esamina le sue decisioni. Da qui la necessità di assemblee pubbliche, o di pagine sui social aperte a tutti, occasioni nelle quali si chiede conto di come sono amministrati dai pochi i soldi di tutti. È ciò che CittàInsieme fa da trent’anni.
Ciò presume un lavoro serio e costante, impone l’impegno di venire a conoscenza dei problemi, di studiarli, di andare alla ricerca delle cause delle disfunzioni, di mettersi insieme, di essere in tanti a far sentire il fiato dei cittadini sul collo dei politici, di rinunziare alla televisione almeno per due sere alla settimana per studiare e conoscere a fondo la realtà, di smetterla di farsi solo i fatti propri… Perché è difficile affrontare il politico quando e se viene. Il politico ci sa fare: ti imbroglia, è sfuggente, vago, generico, nel peggiore dei casi manco viene. Un confronto che non può essere istituzionalizzato, ma al quale i cittadini devono essere educati, perché solo questa è democrazia, è partecipazione, è libertà. Partecipazione e libertà. Due parole che cerchiamo di testimoniare con le nostre iniziative e le assemblee pubbliche alle quali invitiamo a partecipare gli amministratori locali. E quando accettano di venire, spesso vanno via sudati.
Questo perché il grado di consapevolezza che si matura quando si studiano i problemi converte il cittadino in un interlocutore attento che si aspetta dal rappresentante della città di ricevere risposte esaurienti alle domande che gli pone, non accontentandosi né degli slogan di piazza, né delle frasi di circostanza formulate spesso per nascondere il nulla delle sue parole. E se libertà è innanzitutto partecipazione (Giorgio Gaber), allora essere cittadino non può limitarsi a significare «lamento a prescindere, sempre, comunque vada». Essere cittadino è soprattutto riscoperta del gusto della politica come analisi, denuncia, proposta, stimolo e controllo.
Il cittadino non è un lamentatore seriale, disincantato abitante di una città senz’anima, ma artefice del rinnovamento, infaticabile testimone di come i problemi – rispetto ai quali sono sacrosante l’indignazione e la denuncia – possano davvero diventare opportunità di cambiamento, se solo lasciamo che sia la speranza a dare forza al coraggio di farci carico dei problemi degli altri. C’è una frase (parafrasata) di Don Milani che ha sempre illuminato l’impegno di CittàInsieme: «Tutti abbiamo dei problemi. Uscirne da soli è mafia, uscirne insieme è politica». Siamo instancabilmente convinti che soltanto insieme si possa rendere migliore la vita di tutti. E del resto, adesso, esistono anche degli strumenti efficaci per riuscirci. Ci riferiamo ai cosiddetti diritti di partecipazione ai quali il nostro Statuto comunale (che contribuimmo a scrivere nel lontano 1995) dedica un intero Titolo (il quarto) che inizia con un articolo bellissimo, il 40: «La partecipazione dei cittadini all’amministrazione esprime il concorso diretto della comunità all’esercizio delle funzioni di rappresentanza degli organi elettivi e realizza la più elevata democratizzazione del rapporto tra gli organi predetti ed i cittadini. […] vengono garantite ai cittadini singoli o associati le condizioni per intervenire direttamente nei confronti degli organi elettivi, contribuendo con le loro proposte alla fase di impostazione ed elaborazione delle decisioni che detti organi dovranno assumere sui temi di interesse generale».
È un articolo eccezionale! Che riconosce al cittadino la dignità che merita, ponendolo al centro dei processi decisionali, sia come destinatario delle decisioni finali, sia – e soprattutto – come protagonista di tutte le fasi (priorità, risorse, metodi, attuazione, verifica) nelle quali si articola il percorso che conduce alla decisione. Tutto questo deve farci sentire al contempo carichi di una grande responsabilità. Dobbiamo essere noi gli artefici del cambiamento. Catania ha conosciuto fasi in cui gli animi e la passione dei suoi abitanti si sono infiammati portando al lancio di vere e proprie imprese di cambiamento. Pensiamo al Parco Falcone, il polmone verde nato nel cuore della nostra città, in uno spazio strappato negli anni ’80 alla prepotenza della criminalità organizzata che ne aveva fatto, abusivamente, il deposito di un concessionario d’auto (la Pam car di un prestanome di Nitto Santapaola). Questa passione, con alti e bassi, continua ad esistere. Pensiamo alle tante battaglie di No e di Sì che hanno caratterizzato l’azione civica degli ultimi dieci anni.
Il no al Centro commerciale sul Lungomare di Catania, contrastato con tutte le nostre forze, insieme ad oltre 40 gruppi e associazioni e rispetto al quale attendiamo, con ansia, che segua una vera riqualificazione (ambientale, urbanistica) dell’intera area. Il sì alla chiusura una volta al mese del Lungomare, richiesta da un gruppo di cittadini che hanno scelto di esercitare i loro diritti per fare sentire la loro voce, ottenendo il risultato atteso. Il no al raddoppio della rete ferroviaria secondo il progetto originario della Rfi che avrebbe causato l’abbattimento di beni appartenenti al patrimonio storico-culturale ed all’identità del nostro Centro storico. Il sì all’istituzione anche a Catania della Consulta dei cittadini migranti, divenuta realtà grazie all’opera di 32 associazioni che hanno scritto insieme il regolamento d’attuazione e che lo hanno poi presentato al Consiglio comunale ottenendone (dopo quattro anni di intensa sensibilizzazione) l’approvazione all’unanimità.
Potremmo continuare l’elenco, ma ci fermiamo qui. Siamo già proiettati al futuro, ai prossimi traguardi da raggiungere insieme ai cittadini che sentono irrefrenabile il desiderio di incidere sul cambiamento che speriamo. Non è semplice, non basta poco tempo, sono molti gli ostacoli lungo il percorso, pochi gli applausi e tante le pacche sulle spalle accompagnate dal classico «Ma chi ve lo fa fare?». Del resto, come diceva il grande giudice Scidà (presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania, una città seconda solo a Roma per tasso di criminalità minorile e dispersione scolastica), quello di cittadino è il mestiere più difficile al mondo. Ma è un mestiere al quale tutti noi siamo chiamati. Anche i nostri futuri amministratori ai quali auguriamo di essere mossi sempre dal desiderio di perseguire gli interessi di tutti, soprattutto quelli di chi non ha voce, degli ultimi, degli esclusi. E di farlo con umiltà e con coraggio, ascoltando, prendendo appunti, studiando, coinvolgendo, instaurando veri processi collaborativi e di partecipazione che diano nuova vita al senso di comunità ed alla vocazione urbana della città che viviamo.
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