Commissione antimafia sul giornalismo etneo Il caso Ciancio tra La Sicilia e Telecolor

È un quadro drammatico quello che emerge dalla relazione finale del comitato Mafia, giornalisti e mondo dell’informazione, creato all’interno della commissione antimafia alla Camera e coordinato dal vicepresidente Claudio Fava. Nel documento, ampio spazio è dedicato soprattutto alle vicende di Mario Ciancio Sanfilippo, editore e direttore del quotidiano La Sicilia, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e di recente al centro delle polemiche per il nuovo licenziamento di 17 dipendenti dall’emittente televisiva Telecolor. Ciancio non è stato ascoltato dalla commissione – «avendo preannunciato che si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere» – ma di lui si è molto parlato, anche con il presidente dell’ordine dei giornalisti di Sicilia Riccardo Arena.

Lo stesso ordine che da un lato ha dato mandato al proprio legale di costituirsi parte civile nell’eventuale processo nei confronti dell’imprenditore, e dall’altro ha spiegato ai deputati come la difficoltà a occuparsi del caso Ciancio sia dovuta proprio al suo doppio ruolo di giornalista ma anche di editore. «L’ordine nazionale non ritiene illecito quello che avviene. Purtroppo, è un fatto molto inopportuno, molto spiacevole, ma se dobbiamo agire, dobbiamo farlo con la certezza minima di non imbarcarci in un’avventura che finisca con il consolidare…», spiega Arena. «Avete mai ritenuto di dover mettere per iscritto, anche in forma amichevole, la preoccupazione sull’opportunità di continuare a mantenere le due funzioni?», chiedono dalla commissione. «No, non l’abbiamo fatto per iscritto, ma la nostra posizione è assolutamente nota».

A Ciancio è dedicato un lungo paragrafo all’interno della relazione. Che ripercorre i ruoli nell’informazione – non sono locale – di uno degli uomini più potenti di Catania, con partecipazioni o proprietà totale di diverse testate del Sud Italia. Senza considerare gli interessi nell’edilizia. «Ha avuto, nel tempo, rapporti, a volte commerciali e a volte di diversa natura, con persone legate a Cosa nostra», si legge nella rogatoria alle autorità della Svizzera, inviata a ottobre 2014 dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania, per ottenere informazioni sui 52 milioni e 600mila euro depositati all’estero – e mai dichiarati – dall’editore-direttore de La Sicilia. Che, alemno negli anni Settanta, faceva parte del gruppo di imprenditori vicini a Cosa nostra, secondo il pentito Giuseppe Ferone: «Ricordo che la nostra associazione era interessata a ottenere che la linea editoriale di questo quotidiano fosse in alcune occasioni modificata a favore dell’associazione». Parole che ricordano gli ormai noti casi della visita in redazione del boss Giuseppe Ercolano – piccato per essersi visto dare del mafioso in un articolo -; la gestione del pentimento di Maurizio Avola; la lettera di Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto, dal 41bis e i necrologi mai pubblicati di diverse vittime di mafia.

Da La Sicilia alla vicenda della tv Telecolor, il passo è breve. Almeno nella relazione della commissione. Prima che l’emittente venisse rilevata da Ciancio, «era diventata anche un grande punto di riferimento nazionale perché, nel momento in cui si verificavano episodi importanti, gli inviati di tutti i giornali si concentravano a Telecolor e interagivano con la sua redazione, anche dai grandi giornali internazionali (penso per esempio agli inviati del Guardian, del Financial Time…)», racconta Valter Rizzo, tra i giornalisti poi licenziati. «L’azione di normalizzazione sulla redazione di Telecolor non è avvenuta in un giorno, ma è stata un’azione graduale che si è protratta nel tempo – continua il cronista – Con la scusa che bisognava risparmiare, ci toglievano totalmente i mezzi per potere lavorare, e addirittura siamo arrivati al paradosso che quando arrestarono Provenzano abbiamo dovuto chiedere l’autorizzazione all’amministratore delegato, cioè a un ragioniere, per far partire un inviato speciale per andare a seguire l’arresto». Nessuna pressione diretta, «ma semplicemente non ci facevano lavorare». 

Fino a quando la famiglia Ciancio non crea un’agenzia, l’Asi, a cui Telecolor paga la realizzazione dei servizi sportivi, pur avendo una sua redazione di giornalisti. «Secondo quanto ci veniva chiesto dalla signora Angela Ciancio (figlia dell’imprenditore, ndr), l’agenzia Asi avrebbe dovuto occuparsi totalmente dell’informazione, sarebbe stata una sorta di redazione parallela che avrebbe seguito i casi “più sensibili”, mentre noi ci saremmo occupati della parte residuale», racconta Rizzo. La redazione sciopera. Pochi mesi dopo scattano i licenziamenti, giustificati con le difficoltà economiche dell’azienda. Michela Giuffrida – oggi eurodeputata – assume la direzione. L’Asi – fino a quel momento ritenuta indispensabile – viene messa in liquidazione. «La mia idea – dice l’allora direttore Nino Milazzo alla commissione – è che si è partiti da una crisi economica, ma si è colta questa difficoltà per smantellare una redazione e una testata che disturbava i manovratori perché era incontrollata e incontrollabile. Nessuno osava intervenire».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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