Commercio, cosa cambierebbe in Sicilia con la riforma Tra obbligo di chiusura in 5 festività e semplificazioni

Il disegno di legge non c’è ancora, ma c’è una traccia da cui partire per riformare dopo vent’anni il volto del commercio in Sicilia. Ad annunciarlo ieri davanti alle associazioni categoria sono stati il governatore dell’Isola, Nello Musumeci, l’assessore alle attività produttive, Mimmo Turano e il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Micciché.

La parola d’ordine del nuovo corso immaginato dal governo è senz’altro sburocratizzazione, per snellire le procedure amministrative che rallentano costantemente le attività produttive. Ma cosa potrebbe cambiare concretamente per gli operatori del commercio siciliano? Intanto una programmazione unica regionale per i grandi centri commerciali. Si tratta di una valutazione che il governo ha fatto a partire dai paradossi nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa, dove è evidentemente eccessiva l’offerta. A causare questo dislivello rispetto ad altre aree è stata una programmazione affidata esclusivamente ai Comuni, mentre una pianificazione e distribuzione delle richieste a livello regionale potrebbe consentire una distribuzione più omogenea dei nuovi centri che nasceranno in Sicilia.

A partire da una pianificazione unica, la riforma si muoverà poi sul piano della semplificazione amministrativa, attraverso una modulistica unica, che non faccia perdere gli aspiranti commercianti tra i mille rivoli della macchina amministrativa regionale. E poi i requisiti richiesti: a chi vorrà aprire un esercizio commerciale verrà chiesto di rispettare i vincoli urbanistici commerciali e quelli relativi all’impatto sulla viabilità. Gli esercizi di vicinato saranno attivabili con la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Le medie strutture di vendita saranno attivabili con una autorizzazione, mentre per le grandi strutture di vendita oltre all’autorizzazione verrà richiesto il parere di una conferenza di servizi, che tenga conto del piano comunale di urbanistica commerciale e del piano regionale di urbanistica commerciale.

Si tocca anche l’annosa questione dei giorni di chiusura, su cui il dibattito tra gli operatori del settore resta costantemente aperto: le esigenze dei titolari di attività, da una parte, che devono fare i conti con la concorrenza delle grandi strutture commerciali; e le legittime richieste dei commessi che chiedono più spazi per le loro famiglie. La proposta del governo non entra nel merito delle chiusure domenicali, rimandando invece al testo unico degli enti locali e, dunque, alla responsabilità dei Comuni. Ma pone invece l’obbligo di chiusura per cinque festività nell’arco dell’anno solare: Capodanno, Pasqua, 1 maggio, Ferragosto e Natale. Unica clausola inserita al momento riguarda la possibilità di deroga all’obbligo di chiusura per quei Comuni a grande vocazione turistica. In quel caso saranno i singoli enti locali a definire le differenti opzioni.

E ancora, i saldi e le iniziative promozionali: il governo valuta l’ipotesi di una liberalizzazione delle vendite promozionali. Nel ddl dovrebbe trovare spazio anche un nuovo impianto normativo che regolamenti il commercio online, mentre tra le proposte immaginate dall’esecutivo c’è anche quella di un fondo unico per il commercio, che offra finanziamenti agevolati attraverso la Crias per gli operatori di settore.

Miriam Di Peri

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