Avrebbero provato a ucciderlo perché li aveva accusati di un furto nella sua azienda agricola. Un imprenditore di Comiso si è salvato per miracolo: la sua auto è stata costretta a fermarsi e presa a sprangate, e poi sei colpi di pistola, uno dei quali è stato deviato da una molla del sedile dell’auto. Gli autori della missione punitiva sarebbero i suoi vicini di casa: la famiglia Calabrese, pastori noti alle forze dell’ordine che avrebbero creato diversi problemi nella zona di Pedalino, frazione del Comune ragusano. Dieci giorni fa erano stati arrestati i fratelli Francesco e Orazio Calabrese, di 40 e 37 anni, entrambi originari di Gela. Oggi le manette sono scattate anche per il fratello più piccolo, appena diciottenne, Angelo, e per il padre Gaetano. Tutti e quattro avrebbero preso parte alla spedizione per uccidere l’imprenditore.
I fatti sono avvenuti la notte di venerdì 9 giugno, intorno alle 23.30. L’imprenditore – che ha un oleificio in contrada Rinazzi, al confine tra Comiso e Vittoria – si è accorto che qualcuno era entrato nella sua azienda, dopo aver divelto l’infisso. Conoscendo i precedenti penali dei suoi vicini di casa, l’uomo ha raggiunto la casa di Francesco Calabrese, a cui peraltro ogni settimana portava prodotti ortofrutticoli per gli animali, chiedendogli se fosse stato lui a commettere il tentato furto. Una richiesta che avrebbe scatenato la rabbia di Calabrese che prima avrebbe inveito contro l’imprenditore e poi avrebbe tentato di colpirlo. A fronte della reazione, l’uomo è andato via chiedendo solo di non essere importunato. E, temendo che qualcuno potesse portare a termine il furto, si è appostato a bordo della propria auto, insieme al fratello, per controllare il perimetro della sua azienda.
La notte successiva, poco dopo la mezzanotte, l’imprenditore è stato bloccato vicino alla sua azienda da due auto: una si è posizionata davanti e l’altra dietro alla vettura dell’uomo che è stato costretto a fermarsi. Sono scese quattro persone, due delle quali riconosciute dalla vittima nei fratelli Francesco e Orazio Calabrese, che avrebbero preso a sprangate l’auto. Uno di loro, identificato in Francesco Calabrese, avrebbe estratto un’arma esplodendo diversi colpi d’arma da fuoco contro la vittima, paralizzata in auto. Uno dei colpi sarebbe stato sparato alle spalle e si è conficcato nel sedile, all’altezza del torace, senza però ferire il conducente, salvo per pochi centimetri perché il proiettile è stato deviato, con molta probabilità, da una delle molle dello schienale. La vittima è quindi riuscita a scappare, tamponando le due macchine con manovre repentine e creandosi lo spazio necessario per la fuga. Quindi, sfuggito all’attentato, ha contattato il 113 chiedendo aiuto per lui e per il fratello che si trovava da solo in azienda.
Grazie al lavoro della squadra mobile e del commissariato di Comiso, coordinati dalla Procura della Repubblica di Ragusa, e alla testimonianza diretta della vittima, in un primo momento sono stati fermati Francesco e Orazio Calabrese. Il primo ha confessato, ma le due testimonianze sarebbero apparse contrastanti. Le indagini sono dunque proseguite, intercettando gli altri due membri della famiglia rimasti in libertà: il padre e il figlio più piccolo. Dalle loro conversazioni sarebbe emerso il loro ruolo nel tentato omicidio: in particolare Angelo Calabrese sarebbe stato alla guida di una delle due auto che hanno bloccato l’imprenditore. È stato così possibile ricostruire come, dopo aver subito l’onta di essere stati tacciati come autori del tentato furto da parte dell’imprenditore, Francesco abbia chiamato a raccolta l’intera famiglia per passare all’azione.
Inoltre, dopo l’attentato, i Calabrese si sarebbero appostati nel giardino di casa in attesa degli «sbirri» o della vittima che insieme al fratello si sarebbe potuta vendicare. Addirittura, uno dei Calabrese, avrebbe consigliato agli altri che, in caso di «visite» da parte delle vittime, avrebbero dovuto sparargli in testa, mentre nel caso dell’arrivo della polizia, avrebbero dovuto nascondere le armi in mezzo al fieno. Le intercettazioni hanno permesso di delineare una estrema pericolosità della famiglia Calabrese, che sarebbe stata pronta anche a portare a termine l’omicidio, una volta rimessi in libertà.
Gaetano e Angelo Calabrese, una volta sorpresi, non hanno apposto alcuna resistenza e in pochi minuti sono stati perquisiti e condotti negli uffici della squadra mobile. Dopo il fotosegnalamento da parte della polizia scientifica, tutti e due hanno raggiunto i familiari nel carcere di Ragusa, dove resteranno a disposizione dell’autorità giudiziaria iblea.
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