Comiso: apre l’aeroporto ma chiude il turismo

Veramente, la Sicilia è la terra delle contraddizioni più incredibili, delle assurdità più palesi, dei paradossi più evidenti. Si ride per non piangere. L’aeroporto di Comiso è stato già inaugurato due volte, ma da anni è fermo per le note vicende delle autorizzazioni che non arrivavano.  Comunque, mentre da un lato si sono superati gli ostacoli burocratici allo scalo, nel frattempo si chiudono grandi strutture turistiche ricettive nella stessa zona geografica.

Dopodomani ci dovrebbe essere il primo volo in arrivo all’aeroporto di Comiso che segnerà l’apertura di uno scalo che ha richiesto due decenni per essere realizzato. Un volo quasi simbolico, con un piccolo aereo, mentre si cercano accordi veri con compagnie aree di peso sostanziale.

L’aeroporto di Comiso. Foto tratta da www.siliquia.it

Aperto in pompa magna, anche troppo elettoralistica, lo scorso 30 maggio, l’aeroporto di Comiso serve una parte della Sicilia che è stata sempre dinamica economicamente, soprattutto nel comparto agroalimentare,  e che va piano piano dotandosi di altre importanti infrastrutture, spesso co-finanziate con i fondi europei. Ma sono infrastrutture che non potranno mai funzionare realmente ed essere economicamente attive senza una domanda effettiva, sia aziendale sia turistica.

L’aeroporto è utile per il trasporto di merci, soprattutto l’ortofrutta di qualità, il cui trasporto può essere smistato per via aerea anziché per via gommata, molto più costosa e inquinante. Ma non si può prescindere anche dalla domanda di trasporto-passeggeri nel settore turistico. Che in quella zona non dovrebbe mancare. (Secondo un’analisi commissionata dalla compagnia irlandese Ryanair alla società Ernst & Young, in tre anni lo scalo ragusano potrebbe raggiungere tre milioni di passeggeri, ndr)

Tra le infrastrutture ricettive, negli anni passati sono stati realizzati alcuni villaggi turistici che hanno portato lavoro e reddito non solo ai lavoratori direttamente interessati, ma anche a tutto il Ragusano attraverso l’impatto economico, a scala locale e oltre, che questo tipo di strutture ricettive realizzano, meglio se affiancate dalla rete di medie, piccole e piccolissime infrastrutture ricettive.

Certo, il villaggio turistico spesso non è la migliore struttura ricettiva per favorire lo sviluppo locale, a meno di avere una grande iterazione con il territorio. Ma comunque, si tratta di strutture ricettive che favoriscono lo sviluppo e creano un grande numero di posti di lavoro, a fronte d’impatti ambientali molto meno evidenti di quelli provocati dall’industria, laddove l’impatto ambientale dei villaggi sia realmente mitigato e controllato.

Marsa Siclà e la costa. Foto tratta da www.Intervalworld.com

Ebbene, proprio lo scorso Aprile, poco tempo prima dell’apertura dell’aeroporto, tre villaggi nell’area del Ragusano, e quindi nel raggio di servizio dell’aeroporto di Comiso, precisamente i villaggi di Marispica, Baia Samuele e Marsa Siclà, sono stati chiusi dalla magistratura per varie inadempienze riguardanti l’inquinamento.

Si tratta di quasi 2000 posti letto e cioè il 75% della capacità ricettiva del comprensorio. I tre villaggi danno, anzi, davano lavoro a circa 1200 persone tra permanenti, stagionali e indotto, oltre all’impatto economico nell’economia locale, sempre molto alto per il turismo.

L’aeroporto di Comiso c’è, ma da un lato vanno siglati accordi con le compagnie aeree, soprattutto charter e low cost che lavorano a stretto contatto con la clientela delle strutture ricettive. Dall’altro, la capacità ricettiva dello stesso comprensorio in cui insiste l’aeroporto va a farsi benedire, proprio quando il turismo potrebbe essere una valvola di sfogo, e forse un volano di ripresa dell’economia e sicuramente un bacino d’utenza dell’aeroporto.

È giusto che le indagini della magistratura seguano il proprio corso, ma è anche giusto, anzi, più che evidente e più che doveroso fornire o per lo meno favorire una soluzione alternativa al lavoro e all’economia locale. Quando un paio di mesi fa i villaggi furono sequestrati dalla Magistratura si diceva che si sarebbe trovata una soluzione, come il dissequestro almeno parziale. Ma ad oggi non sembra che si sia trovata questa soluzione. A parte l’intervento dei sindacati, che ha salvato il reddito per un poco di tempo con un accordo tempestivo, nulla è stato fatto di concreto.

Spiaggia del ragusano. Foto tratta da www.viaggiweekend-mare.blogspot.com

Si sarebbe potuto trovare anche un altro modo di operare. Ad esempio, si sarebbero potuti dirottare almeno una parte dei clienti in strutture vicine, anche di tipo diverso, laddove possibile. Per fare questo si sarebbe dovuto realizzare un gruppo di lavoro, una regia, per affrontare strategicamente questa emergenza e farla diventare anzi occasione di sviluppo per alberghi diffusi e medie/piccole strutture ricettive. Si sarebbe dovuto mettere in pratica, a livello regionale, una strategia d’intervento, un piano d’azione, sia per l’emergenza, sia per il rilancio nel medio-termine.

La situazione del Ragusano, infatti, non è nemmeno isolata, come le recenti vicende del Valtur di Pollina dimostrano. La gestione della stagione turistica, ogni anno, dimostra sempre più che ci vuole un intervento strategico di largo respiro che salvaguardi almeno la capacità ricettiva esistente e migliori le condizioni di lavoro degli operatori e le prospettive di sviluppo in sinergia con le economie locali.

Insomma, ci voleva un intervento della politica, quella vera, e non quella dei salotti e degli arrivismi. O almeno un intervento dell’amministrazione, laddove la politica manca.

C’è stato un intervento della politica vera? No. Il governo regionale e quello italiano sono in tutt’altre faccende affaccendati.

 

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Gabriele Bonafede

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