Come eliminare la ‘patologia’ dei ‘Partiti’ dei presidenti della Regione

“Perché il presidente della Regione, Rosario Crocetta, invece di fare il leader di un Partito, non fa il leader della coalizione?”. A porsi questa domanda, oggi, sono tanti dirigenti del Pd siciliano. Non è una domanda oziosa, perché il governatore, più che di far crescere la Sicilia, pensa a far crescere il Megafono, cioè il suo Partito.

Possibile che ogni presidente della Regione, in Sicilia, si debba costituire un Partito politico per i fatti propri? Quella di Crocetta, la scorsa estate – parliamo della Lista Crocetta – sembrava, o almeno così era stata presentata, una lista di sostegno alla candidatura dello stesso Rosario Crocetta alle elezioni regionali.

Qualche mese dopo il voto, però, è nato il già citato Megafono.

Gli osservatori ricordano che anche l’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo, aveva un Partito per i fatti propri: il Movimento per l’autonomia. Anche se, a rigor di cronaca, l’Mpa viene fondato circa quattro anni prima della candidatura di Lombardo alla guida della Regione.

Ma è stata la candidatura di Lombardo alla guida della Sicilia, nel 2008, a far crescere questo Partito. Che, ricordiamolo, alle elezioni regionali di cinque anni fa, presentò tre liste e prese quasi il 24-25 per cento dei voti.

Finita l’esperienza di Lombardo alla presidenza della Regione, di fatto, è finito anche il Partito di Lombardo. La prova, quasi ‘scientifica’ che l’Mpa si fondava sulla gestione del potere.

La stessa cosa, per certi versi, vale anche per Totò Cuffaro. Solo chi ha poca memoria non ricorderà che è proprio sulla vittoria di Cuffaro alle elezioni regionali del 2001 che Pierferdinando Casini e lo stesso Cuffaro fonderanno l’Udc. Dal 2001 al 2006, senza i voti siciliani, l’Udc, a Roma, non esisteva.

Finita l’esperienza politica di Cuffaro, è finita anche l’Udc (complice l’alleanza un po’ temeraria, se non sbagliata, di Casini con Monti).

Insomma, dal 2001 ad oggi – ovvero da quando il presidente della Regione viene eletto direttamente dal popolo – il presidente eletto si fa un Partito politico per i fatti propri.

Questo ci dice che, con molta probabilità, è la legge elettorale che genera questa forma di ‘cesarismo’.

In effetti, la legge approvata nel 2001 – parliamo ovviamente della legge che ha introdotto in Sicilia l’elezione diretta del presidente della Regione – non è una grande legge. Sono troppi i poteri conferiti al capo della Giunta, mentre l’Assemblea regionale siciliana non ha alcun potere di controllo e di condizionamento sull’esecutivo.

L’unico momento in cui il Parlamento dell’Isola riesce a dire la sua è durante la sessione di Bilancio. Ma è un potere contrattuale minimo, perché se l’Ars blocca il Governo sul Bilancio, vanno a casa sia il presidente della Regione, sia i deputati dell’Ars.

Di fatto, il presidente della Regione gode di poteri immensi. Fa quello che vuole. Per legge. Ed è normale, in queste condizioni, che si cimenti nel ‘capitalizzare’ il grande potere che ha a disposizione provando a costituire un Partito.

Si dirà: il Partito, come si è visto, dura lo spazio della durata del presidente della Regione. Ma questo non è poco. E, in ogni caso, il presidente di turno – ed è il caso di Crocetta – può sempre dire: i miei predecessori non sono riusciti a formare un Partito duraturo, ma io ci voglio provare lo stesso. Magari a me riesce.

Di fatto, la legge elettorale per l’elezione del presidente della Regione siciliana accentua la cosiddetta personalizzazione della politica. E produce una governabilità scadente. I risultati – pessimi – sono sotto gli occhi di tutti. La Sicilia, in questi dodici anni, è stata governata male.

Se la politica siciliana vuole eliminare il fenomeno del presidente della Regione che dà vita a un proprio Partito, ebbene, deve cambiare la legge. Introducendo dei contrappesi per dare più poteri all’Assemblea regionale siciliana. Valutando anche l’ipotesi – perché no? – della cosiddetta ‘sfiducia costruttiva’, ovvero la possibilità di mandare a casa l’eventuale presidente-despota, lasciando al proprio posto l’Ars, e dando ai cittadini l’opportunità di eleggere un nuovo presidente della Regione.

A questo punto, con lo spettro della possibilità di essere mandato a casa, invece di girare la Sicilia e l’Italia per ingrossare le fila del proprio Partito, il presidente della Regione si occuperà realmente della Sicilia, facendo, magari, il leader della coalizione e non il leader di un Partito in contrapposizione ai Partiti che hanno contribuito ad eleggerlo!

In democrazia è bene evitare che tutto il potere si concentri nelle mani di un solo uomo politico. Lo spettro della ‘sfiducia costruttiva’, lo ribadiamo, costringerebbe il presidente della Regione a mettere da parte il ‘cesarismo’.

Il ‘cesarismo’ non è una novità nella nostra Isola. Ricordiamo che, negli anni ’90, dopo l’approvazione della legge sull’elezione diretta del Sindaco, i Sindaci si comportavano da ‘Podestà’. Tanto che le mozioni di sfiducia fioccavano.

Per fermare il continuo ricorso alle mozioni di sfiducia – qualcuno se lo dovrebbe ricordare – la politica siciliana non trovò di meglio che aumentare a dismisura le indennità dei consiglieri comunali che, solo per una mera questione di denaro, non mandavano a casa i Sindaci-Podestà con la mozione di sfiducia.

In parole povere, la stabilità delle amministrazioni comunali venne ‘monetizzata’ con laute retribuzioni ai consiglieri comunali.

Oggi che i soldi si vanno riducendo, è probabile che, nei Comuni, tornino a fioccare le mozioni di sfiducia ai Sindaci. Ma questo riguarda i piccoli centri, perché nelle medie e, soprattutto, nelle grandi città siciliane l’indennità dei consiglieri comunali è ancora elevata (specie se le commissioni consiliari si ‘riuniscono’ 5 volte alla settimana: cosa che avviene ordinariamente…).

 

 

Redazione

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