Come comunica la politica

Si sono da poco concluse le elezioni regionali. Che ruolo ha giocato la pianificazione della comunicazione per i 3 candidati alla presidenza? Un parere su come hanno comunicato Borsellino, Musumeci e Cuffaro?

«Riguardo alla prima domanda, la risposta è: nessun ruolo. Perché non c’è stata alcuna pianificazione. (O se c’è stata, non s’è vista). E forse è giusto così. In un mercato politico “bloccato”, com’è quello siciliano, qualsiasi attività di marketing elettorale può essere perfino controproducente, sia in termini economici (una campagna elettorale marketing oriented che vada ben al di là dei dozzinali manifesti che offendono gli occhi e l’intelligenza ha dei costi); sia in termini di risultato (non è detto che, in una situazione in cui i voti si racimolano con metodi antichi ed efficacemente collaudati/controllati, una buona campagna assicuri buoni risultati. Dunque al danno (economico) si rischia di aggiungere anche la beffa (elettorale). Ma nel nostro caso il problema non si pone. Perché non mi pare che, negli ultimi anni, ci siano state, almeno in Sicilia, buone campagne. A dirla tutta, non ci sono state affatto campagne elettorali. Almeno non nel senso sopra detto.

 

Riguardo alla seconda domanda, in sintesi, il mio parere è che i tre candidati alla presidenza della regione abbiano comunicato poco. E male».

 

Attraverso quali mezzi comunica l’homo politicus?

«Attraverso i mezzi che di solito usa il suo target. Mi spiego meglio. Prima di intraprendere una campagna elettorale, i competitors in lizza dovrebbero avere piena contezza di quale sia il loro target di riferimento, cioè quel segmento (cluster) – o quei segmenti – di elettori (gli studenti, le casalinghe, i pensionati…) che è fondamentale raggiungere per ottenere il risultato prestabilito. Quello di selezionare il target “giusto” (targeting) è uno dei must dell’homo politicus che voglia evitare di sprecare energie, tempo e denaro cimentandosi in una comunicazione mass market o, se si preferisce, urbi et orbi. La vera domanda che un politico avveduto deve porsi, all’inizio di una competizione elettorale, non è: con quali mezzi?, quanto piuttosto: a quale target?. Perché questo determina quelli. E il loro contenuto. Ovvero, cosa dire (issues)».

 

Quali sono le tappe obbligate per una campagna elettorale?

«Almeno tre. Analisi del mercato. Targeting. Positioning. L’analisi del mercato serve a capire il contesto socio-politico, l’arena competitiva. E si fa tramite i sondaggi. Che hanno principalmente tre funzioni: di prevenzione, di contenuto e di controllo. Nell’ordine, la prima serve a capire, ancor prima di confrontarsi col mercato, se ci sono le condizioni di una eventuale “discesa in campo”; la seconda, ad attingere informazioni dall’elettorato, a sapere cioè quali sono i temi per esso più rilevanti, più urgenti, più sentiti al fine di inserirli nel programma elettorale; la terza, infine, serve a testare i risultati della campagna elettorale fin lì condotta: i temi scelti sono comprensibili, interessanti, coerenti, impattanti?

 

Al targeting ho già accennato. Posso aggiungere che un cluster, vale a dire il segmento (o l’insieme dei segmenti, se si opta per una comunicazione differenziata) selezionato dall’universo degli elettori e scelto come destinatario del messaggio, deve essere omogeneo al suo interno, disomogeneo rispetto agli altri, misurabile, significativo e raggiungibile. Certo, per una maggiore comprensione bisognerebbe chiosare ognuna di queste voci, ma non è questa la sede…

 

Il positioning è quel processo strategico che mira a fare sì che l’elettore differenzi un candidato (e la sua offerta politico-elettorale) dai suoi competitors, e lo faccia in modo favorevole a lui. In altre parole, di un candidato si dirà che ha un posizionamento vincente se sarà riuscito, attraverso un’adeguata pianificazione marketing e una comunicazione azzeccata, a vincere la battaglia contro i concorrenti nella mente dell’elettore, così da occupare, in quest’ultima, una posizione preminente (top of mind)».

 

Quanto può costare una campagna elettorale? Facciamo un paio di esempi concreti: per un candidato premier, per un candidato alla Camera, per un candidato sindaco, per un candidato alla presidenza della regione.

«Non ci sono tariffe e costi prestabiliti. Il costo di una campagna elettorale dipende da tanti fattori: l’orientamento del mercato, l’indice di notorietà e gradimento del candidato, le sue disponibilità economiche, gli obiettivi che vuole raggiungere… Può anche succedere che la campagna di un sindaco di una grande città costi più di quella di un candidato alla presidenza di regione o di uno alla Camera. Tengo tuttavia a precisare che, come in pubblicità, non è la quantità della comunicazione che fa la differenza, quanto la qualità. Che tradotto vuol dire che l’efficacia della comunicazione non è direttamente proporzionale all’investimento economico profuso per realizzarla. Più spendo, più sono visibile, più chances ho di (con)vincere è un’equazione assolutamente sbagliata. L’importante non è esserci. Ma esserci con intelligenza, cum grano salis».

 

Che fa il consulente in comunicazione politica?

«Un politico professionale non si avvale di un solo consulente, ma lavora in staff, cioè con un gruppo di persone, ognuna delle quali ha una specifica competenza. J. F. Kennedy, per esempio, si avvaleva della consulenza di suo fratello Bob, avvocato e difensore dei diritti civili, di Stevenson, raffinato intellettuale, di O’Donnel, l’organizzatore che sapeva tramutare le idee discusse ai tavoli in attività concrete, e di Sorensen, braccio destro del presidente e abilissimo ghostwriter (sono di quest’ultimo i testi dei memorabili discorsi di Kennedy).

R. Reagan, “il grande comunicatore”, si serviva dei preziosi consigli di Michael (“Magic Mike”) Deaver, regista di Hollywood ed esperto di inquadrature, di Wirthlin, esperto sondaggista, e di Noonan, ghostwriter, ex giornalista della Cbs News.

In Europa, in Inghilterra, a capo dello staff della Thatcher, c’erano due giovani pubblicitari, i fratelli Saatchi; in Francia a curare la campagna elettorale di Mitterand c’è invece Jacques Seguela. (I fratelli Saatchi e Seguela sono oggi a capo di due delle agenzie pubblicitarie più importanti nel panorama internazionale.)

Potrei continuare citando lo staff di Tony Blair (i “Blue sky”), o quello di D’Alema (i “Lothar”), o quello di Berlusconi… ma rischiamo di diventare tediosi.

 

Mi premeva far capire che attorno a un politico professionale c’è sempre una squadra, non di lacché e parenti, ma di professionisti seri e preparati che pianificano e organizzano la campagna del candidato in periodo elettorale, e continuano la loro attività anche durante l’eventuale mandato, senza interruzioni, con l’obiettivo di fidelizzare e ampliare l’elettorato».     

 

Al sud Italia la politica si avvale di figure di questo tipo o preferisce ancora il fai-da-te?

«Per comodità di ragionamento, dividerò i politici in tre categorie. Quindi riassumerò le caratteristiche di ognuna. Non darò una risposta alla sua domanda, perché basta guardarsi attorno, anche distrattamente, per capire senza dubbio alcuno a quale categoria appartiene la nostra classe dirigente, qualsiasi sia il livello politico o istituzionale.

    

1) il politico “alle prime armi”: si avvale dell’aiuto dilettantistico della sua famiglia e della cerchia degli amici. Si muove senza una particolare strategia e senza conoscere in modo approfondito il mercato in cui si trova a competere. Gli unici specialisti di cui si avvale sono legati alla produzione del materiale promozionale che, in modo spesso confuso, si ritrova a utilizzare (tipografi, grafici, fotografi).

 

2) Il politico “professionista”: comincia ad affidarsi ad alcuni specialisti della politica per la scelta delle strategie e degli strumenti di promozione. Questi specialisti portano con sé la conoscenza delle caratteristiche del territorio in cui il politico si trova a operare e una discreta esperienza con le tecniche di comunicazione: dalla produzione dei materiali promozionali al rapporto con i media locali.

A fianco rimane comunque forte e spesso determinante la presenza della famiglia e del cerchio di amicizie del politico. Il finanziamento è sempre legato a risorse proprie del candidato e a una raccolta fondi (fund raising) poco strutturata e mirata alla cerchia ridotta di conoscenti, tratti dal database (più o meno organizzato) del candidato.

 

3) Il politico “professionale”: si avvale di specialisti nella definizione della strategia complessiva, nella scelta degli strumenti da utilizzare per conquistare e poi fidelizzare l’elettorato, nella messa a punto delle tattiche di comunicazione. Il suo staff è composto da professionisti del campo, lontano dall’azione di parenti e amici e da attivisti non stipendiati».

 

Curare ogni dettaglio della comunicazione verbale e non verbale del politico non fa perdere di vista le questioni “serie” della politica?

«E perché? Forse che le cose serie diventano meno serie se si ha cura di “confezionarle” per bene? Se si ha cura di tradurle in messaggi più comprensibili e più incisivi, mutuando le tecniche e gli strumenti del marketing e della pubblicità? La verità è un’altra. E il risultato delle ultime politiche ne è la riprova. Nel centrosinistra, nella sinistra, si fa ancora fatica a comprendere l’importanza di questi strumenti, considerati un male. Da qualcuno necessario, perché così va il mondo e bisogna adeguarsi, da qualche altro assoluto, perché sono le armi che usano i capitalisti per fregare i consumatori (proletari), per vendere loro cose di cui non hanno bisogno, e per distoglierli subdolamente dalla loro attività principale: preparare la rivoluzione (che, com’è noto, è cosa seria e non “un pranzo di gala”). La pubblicità? Il nuovo oppio dei popoli.

 

Naturalmente sto scherzando. Nessuno, oggi, si sognerebbe di fare discorsi così obsoleti, che puzzano di muffa, quella muffa che si dà cura di incartapecorire certi testi marxisti relegati, speriamo, nelle buie e umide soffitte di canuti intellettuali radical chic; testi nelle cui pagine affondano le radici della diffidenza, se non dell’aperta ostilità, verso queste nuove discipline.  

 

Soltanto che, di diffidenza in diffidenza, di ostilità in ostilità, si arriva a situazioni “apparentemente” incomprensibili, come nella notte del 10 aprile, quando, di fronte ai magri, sorprendenti risultati elettorali, un Prodi sbigottito e sconfortato si avvicina a D’Alema e gli dice: “Massimo, dobbiamo capire questo Paese”. Ma che c’era da capire, dopo le inconsulte, contraddittorie e fumose dichiarazioni degli esponenti del centrosinistra (inequivocabile sintomo della carenza – assenza? – di una regia che si occupasse di pianificare e organizzare sul piano strategico e tattico la comunicazione della coalizione, così da renderla non dico coerente ma almeno un po’ meno incoerente) su tassa di successione (qual è il limite oltre il quale scatta la tassazione?), su TAV (si fa o non si fa? non una parola sul programma), su tassazione delle rendite finanziarie (i Bot e i Cct sono tra queste?), sul ritiro delle truppe dall’Iraq (quando? come?), sulla riduzione del cuneo fiscale (dove si prenderanno i soldi per finanziare quest’iniziativa?), ecc… Berlusconi, che non cercava altro, si è buttato come un pesce dentro quel fiume in piena che scorreva nella stessa direzione in cui lui voleva andare: creare timori e paure in quel ceto medio indeciso che, generalmente poco interessato alla politica, se convinto a recarsi alle urne vota quasi certamente a destra. In questa ottica vanno letti i suoi machiavellici tentativi, riusciti, di radicalizzare lo scontro: l’abbandono della trasmissione di Lucia Annunziata, l’exploit a Confindustria, il coglione dato agli italiani… Il resto è cronaca: quel ceto medio è andato in massa a votare e stava quasi per farlo vincere.

 

Per concludere, non è incomprensibile o sbagliato il nostro Paese (nel bene e nel male, come tanti altri), quanto l’approccio che certa parte politica ha con esso.

Si potrebbe obiettare che se così fosse, il centrosinistra non governerebbe nella gran parte delle regioni, province e comuni d’Italia. L’osservazione, soltanto in apparenza pertinente, in realtà è capziosa. Perché, a parte la grande evidente diversità di queste competizioni elettorali con quella che ho preso ad esempio, in questi casi Silvio Berlusconi e suo efficiente apparato non erano direttamente coinvolti. Se mi candido io, è una cosa; se si candida un altro, pure se io deliberatamente lo appoggio, é tutta un’altra cosa. La questione della “trasferibilità” dei consensi, di fatto, non esiste».     

 

Molti si sentono già sfiduciati dalla politica. Ci si può fidare, a maggior ragione, di un politico che si preoccupa principalmente delle apparenze, di curare l’immagine, di “bucare il video”?

«Se quello che Lei ha detto un politico lo fa con successo, ci si fida. Lo dicono i risultati di studi e esperimenti riportati da alcune tra le più autorevoli riviste internazionali di psicologia sociale.

Un fattore importante che determina l’efficacia di una comunicazione è quanto la fonte è attraente o piacente, a prescindere dalla sua competenza o attendibilità. In uno di questi esperimenti, volti a comprendere se e quanto una persona esteticamente molto gradevole e curata riuscisse a influenzare il pubblico, è risultato che (in quel caso) una bellissima donna, avesse un impatto considerevole sulle opinioni del pubblico, e che l’impatto fosse massimo proprio quando lei esprimeva apertamente il desiderio di influenzarlo.

 

Che vuol dire? Che, generalmente, le persone agiscono (orientano i loro atteggiamenti e comportamenti) per compiacere qualcuno che trovano attraente, anche se questo qualcuno è completamente ignaro della cosa.

 

Un esperimento successivo, non solo confermò quanto sopra detto, ma dimostrò anche che “si presume” che le fonti attraenti sostengano posizioni desiderabili».

Andrea Deioma

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