Col referendum non si mangia

L’esito dei referenda su acqua, nucleare e legittimo impedimento ha dimostrato come gli italiani sanno ancora mobilitarsi e dire la propria opinione su questioni importanti per il proprio Paese.

Tuttavia, mentre da Roma in su l’affluenza è stata piuttosto alta per questo tipo di votazione (fa vera eccezione Foppolo, in provincia di Bergamo, dove ha votato solo il 20,9% degli aventi diritto), in Sicilia, ed in particolare a Catania, la partecipazione popolare è stata pressoché bassa con la percentuale del 43,22%, ben lontano insomma dal quorum.

In provincia si sono avuti i risultati migliori. In quella etnea, il podio più alto va a Ramacca col 78,02%: complice il turno di ballottaggio per le elezioni amministrative che ha portato molti cittadini in cabina elettorale.

Tra gli altri Comuni etnei degni di nota sicuramente Paternò col 60,77%, Linguaglossa col 59,20% e Militello Val di Catania col 59,16%. Tutti gli altri vanno dal 54-55% in giù.

I motivi di questo risultato? Difficile dare la “colpa” ad una sola causa. Le ragioni possono essere tante: la mancata informazione, il senso di sfiducia nelle istituzioni, l’orientamento politico degli elettori, il coinvolgimento emotivo e potremmo stare ad elencarne ancora diverse.

A pensar male verrebbe da dire che i catanesi hanno preferito andare a farsi un bagno (complice la bella giornata) ma sicuramente si farebbe un torto a coloro che hanno esercitato il loro diritto-dovere.

Volendo dare una connotazione politica, si potrebbe dire che Catania è rimasta fedele al Cavaliere e ha preferito non andare a votare.

È chiaro che i fattori che portano alla mobilitazione gli elettori per la votazione referendaria sono molto più complessi rispetto alla competizione elettorale. Spesso il referendum viene visto come qualcosa di “distante” dagli interessi personali del singolo cittadino, un appuntamento civico che non lo coinvolge né col cuore e neanche con la testa.

Complice anche il fatto che in televisione se n’è parlato relativamente poco e solamente nel periodo finale di campagna.

Certo, si potrebbe sottolineare il fatto che la campagna referendaria sul web sia stata ricca, variopinta e potente ma anche questo ha dimostrato i suoi limiti per una città che all’ombra del “Liotru” non ha colto quell’effetto band wagon, quel trascinamento che ha visto partecipare in maniera trasversale il resto della popolazione italiana con un maggior coinvolgimento dei giovani (http://www.termometropolitico.it/analisi-quorum-referendum-giovani/).

Ma allora cosa dire a quel 43,22% che si è recato alle urne? Cosa hanno sbagliato i comitati promotori dei referenda? Forse l’aver messo il cappello da parte dei partiti nazionali alla campagna referendaria ha provocato un effetto boomerang in una cittadinanza che sembra aspettare un progetto alternativo per la città. O che, al contrario, non è ancora pronta a far soffiare il vento del cambiamento. Forse è mancato il contatto con la base dell’elettorato catanese, molto difficile da scrutare e mobilitare ma che può rimboccarsi le maniche se coinvolta con le giuste parole e le giuste azioni.

Questo dato elettorale, comunque, deve far riflettere l’intera classe politica catanese. Il rischio è quello di un sempre maggior astensionismo. Anche alle prossime tornate elettorali. La causa: la mancanza di ascolto da parte dei partiti di bisogni e desideri dei cittadini.

Agli elettori l’ardua sentenza…

Mario Grasso

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