Case trasformate in carceri, utilizzate da una rete criminale somala per imprigionare i migranti provenienti dall’Africa subsahariana. Un passaggio propedeutico alla seconda fase del viaggio verso i Paesi scandinavi. Sono i dettagli dell’operazione Somalia express, che ha portato al provvedimento di fermo nei confronti di 13 persone. Tra gli arrestati ci sono anche due italiani mentre in sei sono latitanti perché si sarebbero allontanati dall’Italia. L’indagine è partita a ottobre dello scorso anno, quando una donna residente a Milano ha denunciato agli investigatori il sequestro del nipote di 16 anni. Il ragazzo era segregato a Catania da alcuni connazionali all’interno di un Internet point in via Luigi Sturzo. Gli aguzzini per il suo rilascio pretendevano il pagamento di una somma di denaro. Dopo la liberazione della vittima, l’inchiesta è entrata nel vivo facendo emergere la capillare organizzazione del clan e la ripartizione dei ruoli.
Non siamo ottimisti, il fenomeno potrebbe ingrandirsi
Nonostante l’assenza di un vero e proprio capo, l’elemento di punta secondo fonti giudiziarie sarebbe stato Dahir Gure Abdullahi (nella foto). L’uomo si sarebbe occupato di mantenere i contatti con i parenti dei migranti, gestire i flussi di denaro ma anche di monitorare gli sbarchi nei porti italiani, tutto grazie sia grazie a una fitta rete di collaboratori, tra i quali Adam Ismail Abi, e informatori disseminati anche in Puglia e Calabria. Dahir non avrebbe fatto sconti a nessuno e in alcuni casi avrebbe anche disposto l’abbandono dei migranti terminati alcuni spostamenti sul territorio italiano. Il basista in città sarebbe stato invece Mohamed Abdi Nour. Radicato a Catania da diversi anni, secondo fonti investigative, si sarebbe occupato di trovare gli appartamenti dove segregare uomini, donne e minori. Nove case in totale, prevalentemente nel quartiere popolare di San Cristoforo a eccezione di una situata a Gravina di Catania, che venivano trasformate in prigioni. Proprio durante l’esecuzione degli arresti, gli agenti della squadra mobile – che hanno operato con la collaborazione del Servizio centrale operativo – hanno trovato in via Testulla, a Catania, 37 vittime tra cui tre minorenni.
L’operazione ribattezzata Somalia Express ha scoperto anche il ruolo di due italiani. Nell’elenco dei fermati sono finiti Salvatore Pandetta e Sebastiano Longhitano. Gli indagati avrebbero messo stabilmente a disposizione del clan di Somali un servizio taxi per trasportare i migranti da ogni angolo della Sicilia. Catania si conferma ancora una volta la base operativa del traffico di esseri umani in Europa. Modalità operative simili a quelle utilizzate dal clan dei somali erano emerse alla fine del 2014, quando la polizia scoprì un gruppo di eritrei che segregava i connazionali. «Il fenomeno potrebbe allargarsi ancora – spiega il questore Marcello Cardona -. Da questo punto di vista non siamo ottimisti in virtù dell’aumento del numero di sbarchi sulle nostre coste». I pagamenti, variabili da
700 a 1000 euro, venivano fatti con il metodo Hawala. Un sistema informale diffuso in Africa e difficile da tracciare, che prevede l’utilizzo di alcuni affidabili broker per la consegna delle somme. Gli indagati dovranno rispondere dei reati di associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
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