Cimitero, inchiesta sui cadaveri spariti dalle tombe Oltre 300 corpi hanno fatto posto a defunti «nuovi»

Distruzione di cadavere in concorso e peculato. Ci sono voluti sette anni per chiudere l’inchiesta a proposito dello scandalo al cimitero di Catania. Una storia parallela e del tutto simile a quella che, iniziata nel 2009 e finita nel 2013, ha fatto tremare il camposanto etneo. L’avviso di chiusura delle indagini è datato gennaio 2018, ma la notifica alle nove persone coinvolte è arrivata soltanto alla fine di maggio. Le ipotesi di reato sono gravissime: avere fatto sparire illecitamente dei corpi dalla struttura monumentale catanese per ri-utilizzare gli spazi e metterci dentro nuovi cadaveri. Dove sarebbero finite quelle ossa non era chiaro nel 2011 – quando questa seconda indagine è iniziata – e non è chiaro neanche adesso. Ma alla testa del presunto sistema irregolare ci sarebbe stato Walter Spina, ex responsabile tecnico-amministrativo dell’area cimiteriale di via Acquicella per il Comune di Catania, licenziato in quell’anno dall’amministrazione municipale per fatti che con l’inchiesta sui cadaveri non avevano nulla a che vedere. Due anni dopo (nel 2013, appunto) le manette scattano invece per i corpi spariti: all’epoca erano solo una decina, adesso i numeri sono lievitati di qualche centinaio.

Assieme a Spina, per distruzione di cadavere in concorso, sono indagati anche otto imprenditori edili che avrebbero operato all’interno del cimitero: Giuseppe e Salvatore Piazza, Michele Catulli, Agatino Fascina, Achille Giuseppe Scuderi, Giuseppe Pappalardo e Giuseppe Arena. Tra gli indagati figura anche Angelo Scuderi, che dall’inizio dell’inchiesta a oggi è deceduto. La magistrata Agata Consoli, titolare del fascicolo, contesta a ciascuno di loro di avere fatto sparire dei corpi per sostituirli con nuovi cadaveri, al fine di guadagnare da cappelle e tombe da costruire. Spina, invece, viene accusato anche di avere preso dei soldi dai parenti dei defunti, «simulando la regolarità delle pratiche di concessione di aree cimiteriali per la sepoltura, in realtà non ancora espropriabili perché occupate dalle spoglie dei legittimi titolari». Si sarebbe quindi appropriato di quanto pagato dai familiari dei morti per un totale di poco meno di 30mila euro, da maggio 2007 a dicembre 2010.

Secondo la procura, Agatino Fascina sarebbe responsabile – anche in qualità di titolare di una ditta – della scomparsa dei resti di 51 persone; Michele Catulli avrebbe fatto sparire quelli di 31 persone; 74 cadaveri spariti sono attribuiti ad Achille Scuderi e alla sua ditta; 19 a Giuseppe Pappalardo; 34 ad Angelo Parisi; 35 a Giuseppe Piazza e alla sua ditta; 57 a Salvatore Piazza; e, infine, sette a Giuseppe Arena. Secondo alcuni di questi imprenditori, i corpi sarebbero finiti nell’ossario comunale, sulla base di autorizzazioni verbali fornite da Spina. Che avrebbe certificato, pur non disponendo di documentazione ufficiale, il permesso di disseppellire i cadaveri. 

L’ultima volta che si era parlato di questo sistema era il 2013: i carabinieri della compagnia di Fontanarossa erano andati ad arrestare proprio il dipendente comunale Walter Spina. Ai domiciliari, in quella circostanza, erano finiti i due imprenditori edili Giuseppe Piazza e Agatino Fascina, pure loro tra le persone che nei giorni scorsi hanno ricevuto l’avviso di chiusura delle indagini. Nel 2013, i carabinieri cercavano chiarezza su una decina di corpi spariti. Era solo la prima indagine. La seconda, quella chiusa adesso, attesta che si sarebbero perse le tracce di oltre 300 defunti. E, in base a quanto si apprende da fonti investigative, il numero cresce periodicamente: ogni quante volte, cioè, arriva un nuovo lontano parente a trovare una tomba che non c’è più. 

Luisa Santangelo

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