La procura ha chiuso l’indagine e chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di due dirigenti medici dell’Asp 6, imputati di episodi di falso in atto pubblico in un altro filone dell’inchiesta sul cimitero dei Rotoli di Palermo. Nel caos che contraddistingue la gestione del cimitero, in cui circa 900 bare sono nei depositi, in attesa di trovare sepoltura, Giorgio Chiummo e Giuseppe Raia avrebbero falsificato i verbali di estumulazione di alcune salme. Dieci i certificati alterati attribuiti a Chiummo, uno a Raia. Questa operazione, che presupponeva l’accertamento della mineralizzazione dei resti dei defunti sepolti da almeno sei anni, era prodromica rispetto allo svuotamento delle tombe, per dare posto ad altre bare.
I magistrati ritengono che i due imputati, che il 2 marzo dovranno comparire davanti al giudice dell’udienza preliminare Claudia Rosini, non avessero constatato di persona le condizioni dei resti degli scomparsi da molti anni, così come previsto dalla legge, ma che avessero reso una dichiarazione farlocca. La localizzazione dei cellulari avrebbe in particolare inguaiato Giorgio Chiummo, che si sarebbe trovato in un posto diverso da quello in cui si era svolta l’operazione di constatazione della mineralizzazione. L’indagine è del pm Francesca Mazzocco, del pool coordinato dal procuratore aggiunto Sergio Demontis.
Ci sono anche altri filoni e nel principale è coinvolto l’ex direttore dell’Ufficio cimiteri del Comune di Palermo, Cosimo De Roberto. Unico il filo conduttore, secondo le ipotesi dei carabinieri, che conducono gli accertamenti: gestire l’andamento delle sepolture in cambio di denaro, evitando ai parenti lo strazio di vedere i propri cari collocati per mesi e mesi nei depositi e dentro i gazebo di fortuna allestiti all’interno del cimitero di Santa Maria dei Rotoli.
Per De Roberto è stato già chiesto il processo nel troncone-madre: assieme a lui sono imputati cinque impiegati comunali, Aldo Billeci, Maria Grazia Martino, Margherita Maggiore, Giovanni Prestigiacomo e Rodolfo Zanardi, due seppellitori, Francesco Mazza e Andrea Senapa, con gli impresari funebri Nunzio Trinca e Natale Roberto Catalano, il fioraio Rosolino Lo Cicero, che è anche figlio di un appartenente alla famiglia mafiosa dell’Arenella. A Chiummo viene contestato di avere apposto la firma sul documento di estumulazione di dieci salme per fare posto ad altrettanti defunti.
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