Un processo breve ma faticoso, in cui l’ultima parola spetterà alla corte di Cassazione. Sulla vicenda processuale dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo parla per la prima volta Dario Montana. Parole e considerazioni, quelle del fratello dell’ispettore Beppe, ucciso da Cosa nostra, che arrivano dopo il proscioglimento in fase preliminare dell’imprenditore. Accusato dalla procura di Catania di concorso esterno in associazione mafiosa. «In questa città c’è stata una sensazione di felicità nel non dover celebrare questo processo», spiega Montana. Il riferimento, neppure troppo velato, è ad alcuni pezzi della società civile etnea. Uomini e donne «non ufficialmente dalla parte dell’editore etneo».
Il cuore del ragionamento di Montana, parte offesa nel processo insieme al fratello Gerlando, e assistito dall’avvocato Goffredo D’Antona, è quella che chiama la «strumentalizzazione politica sulla vicenda Ciancio». Destinatario del messaggio è il senatore etneo del Movimento 5 stelle Mario Giarrusso. Nei scorsi giorni il componente della commissione antimafia ha scelto di chiedere la convocazione a Roma la giudice Gaetana Bernabò Di Stefano e il capo dei giudici etnei Nunzio Sarpietro.
L’obiettivo ufficiale, che avrebbe avuto il parere informale favorevole della presidente Rosy Bindi, è quello di avere chiarimenti sul proscioglimento e sulla controversa scelta di bollare il reato di concorso esterno come inesistente e non definibile. «Sono inorridito per la scelta di Giarrusso – spiega Montana -, la politica non può entrare nelle vicende del singolo magistrato o del singolo giudice». Per Montana la convocazione a palazzo San Macuto minerebbe «la separazione dei poteri tra politica e magistratura». Nonostante «noi siamo convinti che quella sentenza sia sbagliata, ecco perché abbiamo impugnato in Cassazione».
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